Buongiorno a voi, cari lettori.
Eccomi qui oggi con il decimo articolo di questo mio blog professionale.
Ricordate quando poco tempo fa ho discusso del primo criterio di cui è possibile avvalersi per diagnosticare una patologia della psiche? Oltre che esporne le implicazioni, ne ho anche evidenziato i limiti – essendo secondo me il parametro meno affidabile per noi psicologi, specialmente se considerato singolarmente.
Se non avete ancora letto questo mio scritto, oppure volete semplicemente rinfrescarvi la memoria, potete comodamente collegarvi ad esso tramite questo link (“Cos’è la psicopatologia – Il primo criterio”).
In questa sede vi parlerò quindi del secondo criterio adottabile dalla psicologia – specialmente quella clinica e quella giuridica – per definire un disturbo della mente.
Esso prende il nome di irrazionalità/pericolosità.
Questo presupposto si basa sull’equivalenza tra malattia e pericolosità comportamentale. Ciò significa che una persona psicologicamente disturbata ha una maggiore probabilità di agire in maniera violenta contro chi la circonda, e allo stesso tempo che le infrazioni e le aggressioni commesse da un individuo sarebbero spiegate da una sottostante patologia della mente.
Questo nesso, tuttavia, non è necessariamente causale, bensì – come voglio sostenere – più una correlazione. Quello che voglio cioè confutare – e proseguendo con la lettura dell’articolo vi sarà sempre più chiaro – è l’automaticità con cui troppo spesso si perviene alla conclusione che la malattia mentale è inevitabilmente accompagnata da una “letalità sociale”.
Prima vi voglio però presentare alcuni esempi di condotte antisociali – che vanno cioè contro il costume, l’etica e le convenzioni stabilite in comune accordo da una comunità e il cui rispetto dovrebbe garantire un quieto e rispettoso vivere tra i cittadini.
L’immaginario collettivo assume che le condotte antisociali siano esclusivamente inquadrabili in una cornice di violenza fisica e/o verbale, vandalismi, violazioni della proprietà, danni ai beni altrui, ferimenti, omicidi e crimini vari.
I casi di pericolosità, tuttavia, non si esauriscono qui. Infatti un soggetto può essere parimenti di nocumento a se stesso, non solo agli altri. Le azioni dannose possono cioè essere non solo eterodirette – ovvero rivolte contro altre persone –, ma anche autodirette – ovvero indirizzate a se stessi.
Ne sono un chiaro esempio le ideazioni e i tentativi suicidari.
Mentre pensare genericamente alla morte non è affatto un segnale di malattia mentale, l’insistere su determinati suoi aspetti, il soffermarsi rassegnati sulla sua ineluttabilità e il pianificare una sequenza di azioni che conducano al proprio annullamento costituiscono una possibile sintomatologia depressiva.
Ma quello che voglio sottolineare è che, sebbene a volte una grave depressione maggiore possa provocare la perdita della motivazione a vivere, non è unicamente questa la concepibile causa di un tentativo suicidario.
La decisione di porre fine alla propria vita può essere scatenata da numerosi fattori, e solo alcuni categorizzabili come patologici. Eventi di vita sfavorevoli, traumi devastanti e una notevole ed insopportabile sofferenza sono a mio parere spesso più che sufficienti per far propendere una persona – non per questo, appunto, mentalmente malata – verso questa scelta estrema ed irreversibile.
Un’altra dimostrazione è il cosiddetto autolesionismo, ovvero il procurarsi intenzionalmente ferite più o meno severe – tagli, abrasioni, bruciature – nei confronti del proprio corpo.
È vero, esiste una patologia denominata disturbo borderline di personalità che contempla tra i suoi possibili sintomi una serie di condotte autolesionistiche; ma benché queste ultime siano una componente frequente – non però obbligatoria – di questa organizzazione psichica, non tutte le persone che si fanno consapevolmente del male presentano una diagnosi di questo tipo – né a volte rientrerebbero in alcuna.
Ora che vi ho illustrato la distinzione tra comportamenti eterodiretti ed autodiretti, vorrei rivolgere la vostra attenzione verso uno stereotipo che, anche comprensibilmente, imperversa forse in maniera eccessiva nella mente di tutti noi – complici i media e le innumerevoli opere cinematografiche che sacrificano la plausibilità a favore della resa scenica della trama.
Il senso comune, per esempio, dipinge la schizofrenia come una malattia mentale elettivamente minacciosa per la sicurezza della società.
Certo, a volte questo può essere vero. Ma numerose volte è vero proprio il contrario.
Lo schizofrenico rappresenterebbe infatti una minaccia solo se i suoi deliri del pensiero e le sue allucinazioni sono caratterizzate da un’importante gravità. Non rari sono i casi in cui, ad esempio, le voci percepite dall’individuo malato come reali sono per lui egosintoniche – cioè non vengono vissute con un significativo disagio (per approfondire i concetti di egosintonia ed egodistonia, vi consiglio la lettura dell’articolo “Cos’è la psicopatologia – Il primo criterio”) –, risultando così innocue per l’altrui incolumità.
Nel caso in cui esse siano invece incessanti, denigranti, svilenti, persecutorie o tali da spingere – mediante persuasioni ed ordini perentori – a procurare danni a se stessi o ad altri, la persona affetta da psicosi può in effetti arrivare a costituire un problema per la propria o altrui integrità.
Un altro caso è quello della psicopatia.
Al di là del dibattito che ancora sussiste circa il suo più o meno opportuno inserimento nella lista dei disturbi mentali, il dolore e la sofferenza causati da chi rientra in questa categoria – proprio perché intenzionalmente provocati nonostante e in virtù dell’evidente mancanza di empatia – non sono ignorabili.
Anche i suoi eventuali precursori in età più acerbe della vita – il disturbo della condotta e il disturbo antisociale di personalità –, sebbene definiti “disturbi”, possono comportare come conseguenza il procurare volontariamente un danno ai propri simili, a volte addirittura sulla base di una chiara premeditazione.
Ma la razionalità – a volte cognitivamente presente in tale condizioni – anche nel caso di persone mentalmente sane può venire meno, oppure mantenersi intatta ma essere al contrario utilizzata per allestire diabolicamente un piano atto a ledere altri individui.
In parallelo, l’irrazionalità può anche non tradursi in azioni perniciose per la propria od altrui incolumità, ma può comunque provocare una notevole sofferenza alla persona.
Ad esempio, pensieri paranoidi o persecutori in persone che ne sono contraddistinte possono rendere eccessivamente diffidenti nei confronti degli esseri umani e dell’intero ambiente in cui ci si trova a vivere. Questo può anche indurre ad isolarsi in casa o a rifuggire – per sdegno o paura – un’ampia varietà di luoghi e di confronti interpersonali, portando ad una seria limitazione della propria libertà e riducendo a dismisura il proprio senso di autoefficacia.
Sarei quindi molto soddisfatto se con questo mio articolo fossi riuscito a comunicarvi l’essenza di questo secondo criterio e al contempo quelle che reputo le sue criticità.
Dunque ribadisco: non tutti i disturbi mentali sono socialmente pericolosi. Di converso, una minaccia all’altrui incolumità può scaturire per differenti motivi da chiunque, anche da parte di soggetti fino a quel momento – apparentemente o realmente – psicologicamente sani.
Il secondo limite, strettamente intrecciato al precedente, è quello per cui l’aggressività è insita nell’essere umano. Gli atti più atroci e brutali – o anche solo irruenti, come nei contesti altamente competitivi o in alcune prestazioni sportive – possono pertanto essere commessi anche in condizioni di perfetta sanità mentale – per quanto riprovevoli ed esecrabili –, come nelle guerre e nelle diatribe mondiali.
La terza fallacia è di tipo culturale, oltre che valoriale. In alcune nazioni, infatti, la giurisdizione locale non prevede pene severe – o non ne prevede affatto – per comportamenti che in altri Paesi sono indubbiamente giudicati criminali, aberranti o perlomeno contrari all’etica.
Il quarto e ultimo difetto che vorrei ravvisarvi è infine il seguente: la razionalità non sempre significa sanità mentale. È un’uguaglianza scorretta.
Seppur utile ed auspicabile in dosi appropriate, quando eccessiva essa può essere infatti il segnale di alcuni disturbi mentali, il più emblematico dei quali è probabilmente il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, che prevede un’estrema tendenza al controllo, un perfezionismo rigido ed impietoso e un attaccamento a princìpi – condivisibili o meno – che può risultare implacabile e distruttivo nei confronti delle relazioni interpersonali.
Sostenere quindi la dimensione patologica di un individuo sulla base della sola presenza di pensieri irragionevoli e incoerenti o dell’esecuzione di azioni potenzialmente o effettivamente deleterie rappresenta un’imprudenza che noi psicologi – ma tutti noi, in realtà – non possiamo così incautamente permetterci.
E voi, cari lettori? Avete mai giudicato una persona “malata di mente” considerando gli effetti che il suo comportamento aveva a livello comunitario? O, al contrario, vi è mai successo di assistere – o sperimentare voi stessi – ad episodi di pensieri irrazionali o a condotte socialmente inadatte? E quale opinione vi siete fatti? E a distanza di tempo, vi è mai accaduto di cambiare idea su ciò che prima ritenevate scontato o lampante?
Come sempre, vi invito a lasciare un commento e a condividere, se lo vorrete, quanto avete appena letto.
Nel frattempo, vi do appuntamento al mio prossimo articolo.
E mentre i fiori hanno già iniziato a sbocciare, cari lettori, colgo l’occasione per augurare a tutti voi un Buon Inizio di Primavera!
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buonasera Jacopo, grazie per il buon inizio di primavera che estendo anche a te, speriamo che sia così, anche se dopo questo articolo e quello prima che riguarda “LA CRISI”, di carne sul fuoco ce n’è in abbondanza…………speriamo che non bruci!!!
Se non ho capito male chi soffre di disturbo borderline di personalità potrebbe infliggersi autolesioni più o meno gravi, ma come mai si fanno del male? Vogliono provare dolore per sentirsi vivi o per richiamare l’attenzione su se stessi da parte di chi è loro vicino? Può essere che chi ha perso un genitore in tenera età o abbia provato un grande dolore, possa in seguito soffrire di disturbo borderline o è qualcosa di congenito? Lo chiedo perché mi è capitato di vedere alcune volte un bimbo farsi del male volontariamente e la cosa mi ha colpita nel profondo. Non è mai bello vedere una persona soffrire, figuriamoci un bambino. Mi chiedo se questo disturbo è in qualche modo curabile e se è possibile, fino a che punto e in che modo si può aiutare chi ne soffre?
Per quanto riguarda la schizofrenia vorrei chiedere in che età può essere riconosciuta? E’ possibile che fino all’età di 14/15 anni non possa essere valutata? Prima può essere scambiata per un disturbo di personalità o di passaggio dalla pubertà all’adolescenza?
Come scritto nell’articolo chi soffre di schizofrenia non è sempre pericoloso per gli altri, tuttavia possono esserci momenti in cui la sofferenza che prova uno schizofrenico può essere talmente insopportabile che lo porta ad agire in modo violento. Molte volte mi sono chiesta quale potrebbe essere il limite di sopportazione nel sentire giorno e notte delle voci nella testa o vedere personaggi alquanto inquietanti e penso che sia una cosa molto straziante. Penso che qualsiasi persona anche la più tranquilla e buona se dovesse passare questo inferno, diventerebbe schizofrenica. Molte volte questi uomini o donne sono molto dolci e buoni e non è colpa loro se sono così sofferenti e di conseguenza agiscono in modo violento, hanno bisogno oltre che di farmaci, di aiuto e di amore. Lo posso asserire con cognizione di causa.
Ora vorrei chiedere se lo psicopatico è sempre pericoloso per l’umanità? Giustamente si pensa sia così anche perché nei vari serial o film ci viene presentato come un essere lucidamente brutale, che non prova rimorso per i crimini che commette, ma è proprio sempre così?
Mi trovo d’accordo per quel che riguarda la razionalità e penso anch’io che non sempre chi è razionale sia sempre nel giusto, molte volte c’è da chiedersi se questi esseri razionali abbiano dei sentimenti o usino solo la testa a discapito di tutto il resto, cuore compreso.
Con questo ho finito e resto in attesa di risposta alle mie numerose domande. Ringrazio e saluto con cordialità.
Patrizia.
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