Buongiorno a voi, cari lettori.
Come scrivevo anche nello scorso articolo (“Cos’è la psicopatologia – Il secondo criterio”) – non che ci fosse il bisogno di ricordarlo, nonostante il tempo un po’ malizioso e sbarazzino –, la primavera è arrivata in tutto il suo splendore.
E così, nel pensare alla tematica da esporvi e da condividere con voi, ho deciso di presentarvi un argomento che credo vi farà ulteriormente apprezzare i floridi e gradevoli doni che la “stagione della rinascita” porta sempre con sé.
Oggi vi parlerò di acromatopsia.
Strana parola, non è vero? O, almeno, presuppongo che possa risultare tale a chi non la conosca. La speranza è che, chi non la conosce, è perché non ne abbia mai dovuto subire personalmente le conseguenze, né assistere alla loro azione sui propri cari.
Sì, perché l’acromatopsia cerebrale è, a tutti gli effetti, un disturbo – precisamente, un disturbo neuropsicologico.
Ciò significa che, oltre ad essere qualcosa di patologico – in grado di influire fortemente sulla qualità di vita del soggetto che ne soffre –, è qualcosa che produce forti ricadute psicologiche sulla base di una compromissione localizzata a livello cerebrale.
Il suffisso –neuro indica proprio questo, il fatto cioè che questa patologia è in genere provocata – vi esporrò tra poco due diversi casi che costituiscono eccezione – da un danno di tipo organico, riguardante quindi porzioni concrete e specifiche della corteccia del nostro encefalo.
Innanzitutto, vi serve sapere che esiste un’area particolare del cervello deputata ad elaborare gli stimoli visivi provenienti dagli organi sensoriali periferici – gli occhi –, i quali hanno provveduto a registrarli senza però poterne discernere il significato globale.
Ciò è appunto consentito dall’area visiva primaria, detta anche V1, una porzione di corteccia cerebrale situata nel lobo occipitale, poco sopra la nuca.
Anche in questa zona, tuttavia, ad essere esaminate sono le informazioni più semplici di un oggetto rientrante nel nostro campo visivo. Per un’analisi più completa e dettagliata – capace di rendere l’individuo consapevole di altri aspetti di uno stimolo –, occorre l’intervento di altre aree cerebrali, ognuna specializzata nella percezione di differenti caratteristiche visive.
Una di queste è la cosiddetta V4, situata lungo la cosiddetta “via ventrale”, una successiva e più minuziosa diramazione dell’area visiva primaria (V1), dalla quale scaturisce proiettandosi fino alla parte infero-posteriore del lobo temporale.
Ed è proprio grazie a questa regione – maggiormente indagata nei primati, ma di cui si presuppone l’esistenza di una omologa anche nell’uomo – che noi riusciamo a distinguere i colori e le forme di ogni oggetto, pianta, animale ed essere umano.
Le possibili determinanti in grado di compromettere il funzionamento di quest’area sono molteplici. Ne sono esempi un trauma cranico, un’emorragia cerebrale, un’ischemia, un tumore. Dato che questi tipi di lesioni non sono però ovviamente tanto selettivi da nuocere solo ed esclusivamente l’area V4 mantenendosi entro i suoi confini, o da compromettere ogni singolo neurone di questa “mappa”, la persona può presentare un quadro sintomatologico differente da caso a caso.
Se intaccata, ad ogni modo, l’area V4 generalmente non è più in grado di garantire all’individuo la corretta e completa percezione dei colori.
Immaginate di vedere il mondo che vi circonda costantemente in bianco e nero. A meno che non soffriate di un’acromatopsia congenita, in cui fin dalla nascita vi è stata esclusa la percezione delle numerose gamme cromatiche, l’aver saggiato ogni giorno fino al suo esordio la sgargiante bellezza di questo mondo come pensate che dovrebbe farvi accusare il colpo improvviso di ritrovarvi immersi in una copia “in negativo” della realtà?
Sebbene a volte permanga un livello residuo di percezione cromatica, solitamente la persona affetta da acromatopsia è comunque capace di percepire l’intera scala di grigi di una scena visiva, e siccome a questi corrispondono differenti saturazione e luminosità, ella è ancora in grado di discernere – seppur con una tonalità sbiadita – le distinte parti di un tutto.
Talvolta, invece, la lesione da cui sono colpiti alcuni pazienti è unilaterale, intaccando quindi l’area visiva V4 di uno solo dei due emisferi cerebrali. In tal caso, la persona soffrirà della cosiddetta emiacromatopsia, in cui soltanto metà del campo visivo totale verrà percepita in modo anomalo.
Se la lesione, d’altro canto, oltre che poco estesa è anche non particolarmente grave, il danno può rivelarsi parziale, consentendo la percezione anche di sfumature cromatiche aggiuntive rispetto allo spettro del “grigio”.
L’effetto psicologico di questa nuova visione delle cose sul benessere psico-fisico della persona può essere comunque davvero enorme.
Vi ricordate che vi ho detto che esistono due eccezioni all’acromatopsia cerebrale? Sono le due ulteriori possibili categorie di acromatopsia, quella congenita e quella degenerativa.
L’acromatopsia congenita è un raro difetto genetico della vista. Secondo una recente indagine, negli Stati Uniti circa una persona ogni 33.000 sarebbe affetta da questa condizione.
Essa non è soggetta a un peggioramento nel tempo, essendo totalmente presente fin dalla nascita. Non è quindi dovuta a una lesione cerebrale – che sia traumatica, emorragica, ischemica o tumorale – insorta in un preciso momento dell’esistenza.
Questo vale anche per l’ultima tipologia, l’acromatopsia degenerativa, il cui danno è localizzato presso la retina. Al contrario della precedente, essa comporta un decorso sfavorevole con il passare del tempo.
Promettendovi che non sto scivolando nel campo della geometria, perché possiate comprendere appieno questo concetto vi devo parlare dei coni retinici.
I coni – insieme ai bastoncelli – sono un tipo di fotorecettori, ovvero di cellule situate sul fondo dei globi oculari specializzate nel ricevere la luce proveniente dagli stimoli visivi e trasmettere al cervello l’informazione in essa contenuta sottoforma di impulso elettrico.
Mentre i bastoncelli sono preposti al corretto funzionamento della vista in condizioni di buio o di scarsa luminosità (visione notturna), i coni – di cui esistono tre varietà – servono a garantire la percezione dei colori durante il periodo della veglia (visione diurna).
Dato che in questa patologia la compromissione progressiva riguarda in particolare i coni della retina, essa pregiudica l’elaborazione cromatica ed è infatti nota anche con il termine “distrofia dei coni”.
Detto questo, i soggetti appartenenti a quest’ultima categoria – rispetto agli acromati cerebrali – soffrono anche di ulteriori sintomi in grado di alterare il benessere psicologico e lo stile di vita, quali un’estrema fotofobia – ovvero una dolorosa sensibilità alla luce –, una bassissima acuità visiva – la capacità cioè di discriminare tra differenti oggetti, percependoli come distinti e cogliendone nitidamente i dettagli – e un ristretto campo visivo.
Sopraggiunti alla fine, mi sembra di poter ritenere concluso questo triste quadro, un quadro i cui colori risultano scialbi e smorti a coloro che soffrono di questo disturbo della percezione, che li priva del dono – e del diritto – di godere della variopinta ed accesa tavolozza che può essere la vita.
E voi, cari lettori? Avevate mai sentito parlare di questa patologia? Conoscete personalmente qualcuno che soffre delle sue debilitanti e avvilenti ripercussioni? Riuscite anche solo ad immaginare la portata che essa può avere nell’ordinaria e spesso così scontata gestione del quotidiano?
Fatemi sapere che cosa ne pensate e, se lo volete, condividete e lasciate un commento all’articolo.
Cari lettori, vi auguro di nuovo una Buona Primavera, convinto che i fiori più veri e meritevoli di sbocciare non sono solo quelli di cui è possibile ammirare i colori e captare gli odori, ma soprattutto quelli che ospitiamo nella nostra più autentica e profonda essenza.
Vi do appuntamento al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buonasera Jacopo, della patologia di cui si scrive in questo articolo personalmente non ne avevo mai sentito parlare. Certo ho sentito parlare della retina, della visione notturna e della visione diurna, della fotofobia, ma di coni (a meno che non siano forme geometriche o di gelato) e di bastoncelli non ne sapevo nulla, figuriamoci riguardo gli altri termini, sinceramente sono ignorante in materia. So che ci sono delle persone daltoniche, cioè con un difetto genetico della vista che impedisce loro di distinguere alcuni colori, ma che comunque anche se in maniera distorta riescono a percepirne altri, ma il termine ACROMATOPSIA non l’avevo mai sentito e non sapevo potesse essere una patologia così debilitante.
Se penso ai colori che madre natura ci propone in ogni stagione e in ogni luogo della Terra, così diversi e perciò affascinanti nelle loro sfumature esotiche…… il solo pensiero di non poterli più vedere mi manda in crisi. Già viviamo in un mondo alquanto incasinato, sempre più povero di poesia e di umanità, dove l’amore non è un sentimento scontato, dove l’avidità di ricchezza e di potere di pochi preclude il diritto alla felicità ed alla dignità di una vita degna di essere chiamata tale al resto dell’umanità, cosa sarebbe delle nostre anime ferite se non ci fossero più i colori a stimolare, lenire e consolare il nostro spirito inquieto? Quale gioia si potrebbe provare in un mondo tutto grigio? Si dice che “Il mondo è bello perché è vario”, ed i colori sono le emozioni di questo essere vario. Senza emozioni non ci sarebbero i sentimenti e senza sentimenti saremmo solo dei gusci vuoti, saremmo terra sterile. Pensiamo alle varie opere d’arte, se fossero tutte in bianco e nero o grigie (anche se alcune opere, fotografie e altro, sono molto belle in bianco, nero e grigio), quali stimoli, quali emozioni potrebbero risvegliare in noi? Io penso che i nostri sensi ne risentirebbero tutti, perché credo che siano connessi tra di loro e venendo a mancare anche un po’ di uno o dell’altro comporterebbe degli sbalzi d’umore e di disequilibrio psichico e fisico non trascurabili, infatti la primavera con tutti i suoi colori, i suoi profumi e il suo rinnovarsi d’abito tutti gli anni ci fa capire che la vita prosegue e anche noi esseri umani, con tutto il nostro affanno, con tutti i nostri dolori, con le nostre sconfitte possiamo sconfiggere il gelo dell’inverno che affligge i nostri cuori.
Allora dico: <>. Godiamoci i piaceri che la vita ci dà, perché la serenità non sempre è duratura e quindi bisogna cogliere il positivo delle cose a piene mani quando ce n’è data l’opportunità.
Un saluto a tutti. Patrizia
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Se può essere utile vorrei raccontare qualcosa che non ho mai detto a nessuno. Soffro di epilessia riflessa, lampi di luce , certi suoni ,odori particolari, particolari emozioni, dolore nuovo e intenso o freddo intenso mi fanno perdere del tutto il tono muscolare e il mio cervello , come dico io , sembra riempirsi di cotone. Un giorno , ho fatto una risonanza magnetica al cervello. .Il rumore mi ha fatto perdere il tono muscolare e quando sono riuscita a muovermi e aprire gli occhi(che tengo sempre chiusi quando mi succede)vedevo le persone attorno e la stanza in varie tonalità’ di grigio.vedevo le cose attorno attraverso larghe strisce : grigio chiaro , più scuro , ancora più scuro , ma non in nero o bianco . Non ho detto nulla perché già volevano ricoverarmi e io non volevo e temevo che dicendolo l’avrebbero fatto comunque. È durato una decina di minuti poi , a mano a mano ho recuperato i colori , ma ero molto confusa e non riuscivo a orientarmi . Ma dopo una mezz’ora ero tornata a posto . Non ho mai capito perché mi è successo , ma ho ancora il dischetto di quella risonanza.
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Buongiorno Agostina.
La ringrazio molto per aver raccontato e condiviso la sua esperienza.
Sì, spesso gli episodi di epilessia possono essere accompagnati da dispercezioni o stimolazioni intense, che risultano nel vivere sensazioni iperlucide e potenzialmente spiazzanti.
Mi ha incuriosito molto la descrizione che ha dato del suo vissuto in merito al cervello che sente come “riempirsi di cotone”.
È senza dubbio un elemento meritevole di attenzione, così come il fatto che l’episodio inerente alla visione in scala di grigi – peraltro, mi dice, sottoforma anche di bande, di larghe strisce – abbia avuto una durata circoscritta (il che parrebbe, sebbene non abbia i dettagli, un fattore rassicurante).
Pur non conoscendola, mi sembra inoltre di dedurre da come ne ha parlato che non si siano ripresentati altri episodi di questo genere, è corretto?
Intanto le auguro una buona giornata, Agostina, e grazie ancora per aver condiviso la sua storia con me e con tutte le persone che seguono il mio blog.
Un caro saluto,
Dott. Jacopo Pesenti
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