Buongiorno a tutti, cari lettori.
Il mio articolo odierno sancisce per me un importante traguardo: oggi è il primo Anniversario del mio blog professionale.
È infatti trascorso un anno da quando ho pubblicato il mio primo scritto scientifico e divulgativo su “Il Rifugio della Psicologia”, e con l’articolo di oggi intendo concludere la rubrica “Salute e malattia”, di cui esso rappresenta la quinta e ultima parte.
Se non l’avete ancora fatto, vi consiglio di leggere anche i miei scritti precedenti a questo, nei quali espongo le caratteristiche dei primi quattro criteri ideati dalla psicologia per individuare una patologia psichica.
Per ulteriore comodità, vi riporto qui di seguito i link alle mie suddette pubblicazioni:
- “COS’È LA PSICOPATOLOGIA – IL PRIMO CRITERIO”
- “COS’È LA PSICOPATOLOGIA – IL SECONDO CRITERIO”
- “COS’È LA PSICOPATOLOGIA – IL TERZO CRITERIO”
- “COS’È LA PSICOPATOLOGIA – IL QUARTO CRITERIO”
Oggi dedicherò quindi la mia analisi al quinto ed ultimo di questi parametri, esaminandone le implicazioni e, non da ultimo, le criticità.
Esso è probabilmente il più utile tra gli indicatori di una psicopatologia, seppur non esente da limiti.
Viene denominato “danno significativo”.
Il principio su cui si basa prevede che un disturbo mentale porti con sé l’invalidazione di uno o più tratti di un individuo.
Ciò significa che alcune caratteristiche e capacità di un soggetto verrebbero compromesse dalla presenza di una psicopatologia.
Questo è tuttavia vero per molti disturbi, non tutti.
Ad esempio – come facevo già notare in precedenti articoli di questa sezione –, i disturbi dell’umore di lieve entità possono non essere facilmente riconoscibili, né da chi ne è afflitto né dalla sua cerchia di famigliari e amici, perché non provocano un danno sufficientemente rilevante da pesare sulla gestione della vita quotidiana.
Questo costituisce quindi il primo limite di questo criterio.
Un’altra doverosa chiarificazione che mi sento di fare è che, al contrario, esistono anche danni alle funzioni psicologiche che non sono però causati da malattie prettamente mentali, bensì a condizioni di eziologia organica.
Ad esempio, in alcuni soggetti possono insorgere serie modifiche della personalità, del rendimento mnemonico o delle abilità sociali di cooperazione e di negoziazione con gli altri a causa di traumi di tipo meccanico – come traumi cranici o specifiche lesioni –, ictus ischemici o emorragici, tumori. Questi rappresentano senza ombra di dubbio sintomi in grado di influire notevolmente e in maniera sfavorevole sul benessere della persona, ma non per questo indicano l’esistenza di una patologia psichica conclamata.
Vi è da dire inoltre che, a seconda della tipologia di disturbo, possono essere colpite una o più aree di funzionamento dell’individuo.
Ad esempio, a causa di un disturbo mentale o della propria condizione patologica, una persona può trovare difficoltà ad adempiere alle attività lavorative, o provare disagio nel contesto famigliare. Ancora, può manifestare problematiche non indifferenti nell’ambiente scolastico o accademico, patire vari tipi di conflitto o di sofferenza nell’ambito di coppia fino a risultare inadeguata e autolesiva all’interno di qualunque interazione sociale.
Va da sé che il malessere dell’individuo è tanto più accentuato quanto maggiore è il numero degli ambiti di vita che vengono alterati dalla patologia psichica in questione.
Infine – ed è questo l’ultimo limite di questo criterio – sussiste un problema logico noto come “definizione circolare”.
Mi spiego subito.
Questo criterio tenta di spiegare che cosa sia diagnosticabile come “malattia mentale” – e dunque che cosa rientrerebbe in tale etichetta – tramite il concetto di “danno”. Ma la natura dannosa di una condizione può essere sempre facilmente appurata? Che cosa può considerarsi dannoso, nocivo, deleterio in maniera univoca e obiettiva?
Se dunque per definire il disturbo mentale occorre considerare ciò che è dannoso, non si può tralasciare l’evidenza che la parola “danno” implica il contrasto di qualcosa rispetto a una condizione di “normale funzionamento”.
Ma questo rischia di farci incorrere in un circolo vizioso.
Senza considerare il fatto che – come vi illustravo nell’articolo “COS’È LA PSICOPATOLOGIA – IL TERZO CRITERIO” – la normalità è un’entità puramente statistica, e che i confini tra norma e devianza sono culturalmente definiti e inevitabilmente labili.
Pertanto, questo è il suggerimento finale che voglio dare a conclusione di questa mia rubrica “Salute e malattia”: per definire un evento psicopatologico, la cosa migliore sarebbe concentrarsi su tutti e cinque i criteri – e non analizzarne uno solo –, ma soprattutto affidarsi alla propria esperienza lavorativa e al proprio intuito di professionista, che spesso molto possono aiutare ed essere risolutivi nei momenti in cui i cinque criteri manifestano tutta la loro fallibilità.
Eccoci giunti alla fine dell’articolo, cari lettori. Vi invito a lasciare un commento a quanto avete appena letto, a condividerlo e a fornirmi un rimando se vi è piaciuto.
Cosa ne pensate del concetto di “danno”? In che modo l’avevate finora collegato all’eventuale presenza di una malattia mentale? Che ne pensate del nesso che intercorre tra psicopatologia e compromissione del funzionamento in una o più aree della vita?
In attesa di un vostro riscontro, vi do appuntamento al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Un pensiero su “COS’È LA PSICOPATOLOGIA – IL QUINTO CRITERIO”