Buongiorno a tutti voi, cari lettori.
Con l’articolo di oggi intendo continuare quanto intrapreso con la rubrica “Salute e malattia”, di cui esso rappresenta la terza parte.
Così come nella prima (“Cos’è la psicopatologia – Il primo criterio”) e nella seconda parte (“Cos’è la psicopatologia – Il secondo criterio”) mi sono concentrato sui primi due criteri adottabili per individuare le condizioni in cui sussiste una psicopatologia, oggi dedicherò questa analisi al terzo di questi parametri, esaminandone le caratteristiche, le implicazioni e, non da ultimo, le criticità.
Tale fattore risponde al nome di devianza.
Questo è un concetto a cui tengo particolarmente, pertanto mi premura attuare una distinzione. Una persona può essere deviante dal punto di vista etico-morale – quindi antisociale – oppure deviante dal punto di vista statistico – cioè atipica, peculiare o perfino “speciale”.
Mentre della prima accezione ho tra l’altro già parlato nel precedente articolo di questa sezione (“Cos’è la psicopatologia – Il secondo criterio”), è la seconda accezione che affronterò qui con voi oggi, sia perché è la più pertinente, sia perché è la nozione più utile e meno immediata da comprendere, e proprio per questo più soggetta a stereotipi e pregiudizi.
La devianza, come suggerisce il suo etimo, si riferisce a tutto ciò che devia dalla norma, dove per norma ci si riferisce a ciò che si tende a riscontrare con più frequenza nella realtà che ci circonda – che sia un evento, una circostanza, un pensiero, un emozione o un comportamento.
Fondamentale è quindi capire che non necessariamente un fatto o una condizione che è “nella norma” sia da considerare anche “normale”.
Per usare un mio aforisma personale:
“Non bisogna confondere ciò che è con ciò che dovrebbe essere.”
Non sempre dunque una cosa frequente – o, come specificherò ulteriormente in seguito, ritenuta più frequente di altre – è anche, rispetto a queste, più fisiologica o addirittura preferibile.
Chiarito questo, il terzo criterio afferma che la patologia della psiche può essere riconosciuta sulla base della presenza di condotte inusuali, credenze insolite e atteggiamenti appariscenti.
Partirei subito con i limiti di questo principio, dato che sono assolutamente rilevanti.
Innanzitutto, non tutti i disturbi mentali implicano comportamenti “estremi” che si discostano da uno standard riconosciuto.
Basti pensare alle forme lievi di un disturbo d’ansia o di un disturbo dell’umore.
Le persone caratterizzate ad esempio da un significativo abbassamento del tono emotivo, da una scarsa energia psicomotoria e da uno scarso interesse per le attività fino a quel momento apprezzate non appaiono particolarmente differenti da coloro che non soffrono di questa sintomatologia. Eppure a livello clinico sarebbe già possibile formulare loro una diagnosi, se con un’indagine approfondita si riscontrassero anche ulteriori segnali quali un consistente aumento o perdita di appetito e di peso, insonnia e pensieri di rovina o di colpa verso se stessi.
Ma anche in tal caso, in assenza di ideazioni o tentativi suicidari o stati allucinatori, la loro sofferenza, specie ad occhi inesperti, potrebbe ancora passare inosservata.
Senza considerare che le varie forme di depressione e di ansia sono già da tempo in costante aumento all’interno della popolazione, configurandosi quindi come una vera e propria tendenza predittiva – riguardando infatti centinaia di milioni di persone nel mondo –, e dunque tutt’altro che un’eccezione rispetto alla regola prevista dal senso comune.
Ulteriore prova, questa, di come l’uguaglianza “frequente = sano” sia errata se assunta aprioristicamente senza le dovute cautele.
Allo stesso tempo, in molte culture differenziantisi da quella occidentale – ma alcune anche più vicine a noi di quanto pensiamo –, segnali il più delle volte valutati come preoccupanti o allarmistici, quali percezioni extra-sensoriali o stati alterati di coscienza, sono considerati il riflesso non di un disturbo mentale, bensì di una pronunciata spiritualità o di un modo alternativo ed etnologicamente condizionato di connettersi con il divino o con i propri simili.
In tali contesti, quindi, la malattia mentale dev’essere valutata secondo un metro di giudizio totalmente diverso.
Un tipico esempio è rappresentato dallo sciamano, una figura non certo assimilabile alla malattia o alla perdizione, quanto piuttosto ad una funzione di guida e di soccorritore per coloro che soffrono sia di un malessere fisico che per le più disparate condizioni psichiche.
Ora che abbiamo visto una dimostrazione di come la psicopatologia non possa essere equivalsa a una semplice deviazione da ciò che è usuale o ricorrente, vi vorrei far riflettere – introducendo così anche la seconda pecca di questo criterio – su un aspetto molto labile dello stesso concetto di “norma”.
La norma è una nozione statistica, nulla più. Pertanto, è principalmente dalla statistica che dipende per la sua affermazione.
Ma avete un’idea di quanti possibili fattori esistono tali da ridurre o addirittura inficiare la veridicità e l’affidabilità dei dati ricavati tramite indagini statistiche?
In parte dovuti alla qualità e al grado di evoluzione degli stessi strumenti di misurazione (test, questionari) e di rilevazione (sondaggi, inchieste), in parte – oserei dire, grossa parte – per l’ineludibile e idiosincratica soggettività di ogni individuo che si presti a fornire il suo contributo alla scienza, le informazioni ottenute riguardo ad un fenomeno psicologico, soprattutto su tematiche delicate – anche quando protette dall’anonimato – non sempre rispecchiano perfettamente la realtà dei fatti.
Questo è inevitabile, ed è una componente da prendere in seria considerazione in tutte quelle discipline che si propongono di studiare l’essere umano nella sua tanto mirabile quanto sconvolgente complessità.
Un esempio eclatante è costituito a mio parere dall’omosessualità – e, in realtà, anche da tutti gli altri orientamenti sessuali (bisessualità, asessualità) che differiscono da quello eterosessuale.
Per lungo tempo l’omosessualità è stata considerata una perversione, un aspetto contronatura della personalità.
Al di là del fatto che è dal 1973 che essa è stata rimossa dall’elenco dei disturbi contemplati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), e tenendo conto che – proprio come ogni cosa che riguardi l’essere umano – è a seconda delle epoche storiche e della cultura vigente che muta la prospettiva con cui si considera la sessualità e l’orientamento sessuale di ciascuno, siamo davvero sicuri che, confutata l’uguaglianza “omosessualità = patologia”, si debba considerare allora valida la comunque nociva cugina “omosessualità = fuori dalla norma = eccezione alla regola”?
Chi di voi sta capendo il nocciolo del discorso dovrebbe secondo me essersi già chiesto da alcuni secondi – o almeno lo spero:
“Ma quale regola?!”
Cioè, se già è difficile per molti guardare all’omosessualità come a una normalissima e legittima estrinsecazione di se stessi, come ci si può aspettare che si riesca anche a vederla come una possibilità molto più frequente di quanto si è disposti a credere – appunto perché tutto ciò che suscita timore o incertezza non si è disposti a conoscerlo per ciò che è veramente e, almeno altrettanto, ciò che non si è inclini a comprendere o ad appurare alimenta ulteriormente tale ingiustificata avversione o titubanza?
Come si può pretendere questo, molti diranno? Troppo utopistico, vero?
Eppure, come parecchie persone trovano difficoltà a mettere in discussione alcuni preconcetti, altrettante vi riescono con successo e senza alcuna resistenza.
Non arrendendomi, quindi, proverò anche ad illustrarvi il concetto di “numero oscuro”, applicato all’esempio in corso – ovvero l’orientamento sessuale –, ma che non è meno valido per numerose altre questioni di varia entità.
Avrete forse sentito parlare – magari no, e in tal caso sarebbe solo meglio – o letto in qualche scritto approssimativo che la percentuale delle persone omosessuali sulla totalità della popolazione sia pari a un confuso 5%. Tornando a quanto ho precedentemente spiegato in merito ai metodi di rilevamento, questa cifra non solo è comoda per chi ci vuole credere – relegando chi non è eterosessuale ad una sfortunata minoranza –, ma è anche falsata dalla cosiddetta desiderabilità sociale, ovvero la tendenza delle persone a dare risposte anche non sincere pur di fornire un’immagine di sé che si ritiene sia quella più desiderabile da parte dell’interlocutore, o comunque per rischiare il meno possibile di incorrere nell’altrui biasimo.
Al di là quindi del fatto che alcune persone impiegano tempo per capire a fondo quali siano le proprie preferenze sessuali, c’è un’intera zona grigia, non facilmente indagabile, che comprende un numero infinitamente maggiore di individui omosessuali – ma non solo, anche bisessuali.
Pertanto, spesso si cade nel doppio errore di considerare patologico qualsiasi cosa devii dalla norma, e allo stesso tempo di dare per scontata una premessa altrettanto illogica, e cioè il ritenere un fenomeno più raro e infrequente di quanto non lo sia in realtà.
Uscendo ora dall’esempio dell’omosessualità, il sottoscritto non è certo il primo critico del parametro della devianza.
Sebbene il suo pensiero sia stato giudicato troppo estremo e forse non del tutto realistico, anche Thomas Szasz, uno psichiatra, ha attaccato questa teorizzazione, sostenendo che il concetto di “malattia mentale” sia stato addirittura creato dalle autorità con il solo scopo di manipolare gli individui più eccentrici, più anticonformisti o controcorrente per uniformarli alle norme sociali in vigore durante un determinato governo o epoca storica.
Indipendentemente dalla plausibilità dell’intera sua prospettiva, è secondo me impossibile non concordare con il fatto che fin troppo spesso scienziati, artisti e vari personaggi politici sono stati etichettati come “devianti” – e dunque come “patologici” o “pericolosi” da dover rinchiudere e contenere fisicamente –, solo perché proponevano visioni ed opinioni non convenzionali, ma non per questo sbagliate, anzi, risultando più volte in seguito addirittura evolute o all’avanguardia.
Questo è dunque il mio appello: cerchiamo di non giudicare ogni forma di diversità come deviante da una presunta – e tutta da dimostrare – norma e per questo riconducibile ad una qualche forma di malattia mentale.
I fatti – e questo vale nella vita in generale almeno tanto quanto trovo ogni volta confermato nella mia esperienza professionale da psicologo – sono molto più complessi di quanto possono apparire ad un primo ed affrettato sguardo.
Eccoci giunti alla fine dell’articolo, cari lettori. Vi invito a lasciare un commento a quanto avete appena letto, a condividerlo e a fornirmi un rimando se vi è piaciuto.
Cosa ne pensate del concetto di “devianza”? Dopo aver letto questa mia pubblicazione avete raggiunto una maggiore consapevolezza in tal merito, oppure già la pensavate in questo modo? O ancora, al contrario, dissentite su alcuni punti? In che modo l’avevate finora correlata all’eventuale presenza di una malattia mentale?
Un caro saluto a tutti, non mi resta che darvi appuntamento al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buonasera Jacopo, quanto è vero quello che si intende con questo tuo personale aforisma “NON BISOGNA CONFONDERE CIO’ CHE E’ CON CIO’ CHE DOVREBBE ESSERE”.
Mi domando, cosa si intende oggi essere nella norma? E’ nella norma che oggi tutti, o quasi, usino cellulari, computer e tecnologie di vario genere per connettersi col mondo e quando si trovano in compagnia non siano capaci di comunicare a parole, a esprimersi guardandosi negli occhi? E’ nella norma che inviino messaggi coi cellulari e che non sappiano esprimere con carta e penna i loro sentimenti? Non faccio di tutta l’erba un fascio, ma molti rientrano in questo contesto. Sarà nella norma, ma non sono convinta che sia del tutto normale. Oggi la tecnologia ci aiuta in vari campi, ma ci toglie molto del nostro essere umani, ci priva del confronto diretto con gli altri e ci impedisce di cogliere le sfumature che spesso ci saltano agli occhi solo comunicando personalmente, almeno questo è il mio personale parere. Io per esempio con la tecnologia non ho un rapporto idilliaco, ma non per questo mi sento una pecora nera, anche se agli occhi degli altri potrei essere vista proprio così. Se consideriamo poi lo stato di depressione e ansia di cui molti di noi in tutto il mondo soffrono, solo perché è una percentuale molto alta, sia da considerarsi una cosa normale, nella norma.
Mi chiedo anche, cosa è giusto e cosa è sbagliato? Cosa è bello e cosa è brutto? Cosa è nella norma e cosa non lo è? Molto di tutto ciò è relativo e soggettivo, a mio parere. Infatti se pensiamo ai molti riti che noi consideriamo pagani, per le persone che li praticano sono atti di fede. Se prendiamo gli sciamani, che noi riteniamo il più delle volte, alla stregua di ciarlatani, da molti popoli vengono considerati guaritori con poteri che vanno al di là di tutte le nostre credenze, non per questo dobbiamo pensare che tutto ciò sia sbagliato, per noi magari lo è, ma per questi popoli è ciò in cui credono, perciò se quello che per noi non è da considerare normale, per molti altri lo è quindi chi ha ragione e chi torto?
Nel punto in cui si parla dei vari orientamenti sessuali, cioè omosessualità, bisessualità e asessualità, non mi sento di puntare il dito contro nessuno. Troppe volte l’uomo ha puntato il dico contro altri esseri umani, portando all’odio, alla distruzione e ai campi di sterminio per tutti quegli uomini, donne e bambini, che agli occhi di una (per fortuna) minoranza venivano considerati fuori dalla norma, fuori dalle regole che venivano imposte con la forza. Io ritengo che un essere umano, visto che in sé porta sia geni maschili che femminili, possa innamorarsi di persone del proprio sesso, del sesso opposto o di entrambi. D’altronde l’amore è un sentimento che nasce dal cuore, un organo che a differenza degli occhi e del cervello non vede le differenze di sesso, pelle, malformazione fisica, credo politico o religioso.
Certo che di battute su omosessuali e donne lesbiche, se ne sentono di tutti i tipi e molte volte anche di cattive. Comunque penso che le sofferenze, le umiliazioni e le angherie che sia le donne che gli uomini gay, bisex, asessuati o (aggiungo io)diversamente abili devono sopportare sono deplorevoli. Proviamo a pensare se fossimo noi a dover subire tutte queste situazioni come ci sentiremmo. Sicuramente da schifo. Sono convinta che l’amore quando arriva non segue le regole o le imposizioni che il sistema generale ci fa credere siano nella norma e per fortuna è così. Io personalmente credo nell’amore in tutte le sue forme e sfumature e va rispettato per quel che è, non per quello che vorremmo fosse di regola o di norma.
Il mio augurio è che tutti possano vivere il loro amore senza doversi nascondere al resto del mondo per paura di essere giudicati e additati. Siamo tutti esseri umani e, come tali, meritiamo il rispetto senza reticenze o bigotterie.
Un saluto a tutti da Patrizia
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