Buongiorno a tutti, cari lettori.
Come avrete probabilmente intuito dal titolo che precede queste righe, in questo articolo tratterò di una tematica che, checché se ne dica, ha molto poco di astratto e molto invece di concreto: la crisi psicologica.
L’intento che mi sono prefissato di raggiungere con questo mio scritto è di stilare un’analisi del concetto di crisi, avvicinandolo da più angolazioni e scandagliandolo da più prospettive. Mi riterrò soddisfatto se alla fine di questa mia pubblicazione non solo avrete un’idea più chiara e dettagliata del suo vero significato, ma avrete anche assimilato in che modo la crisi può a volte costituire – già ve lo anticipo – una preziosa opportunità da cogliere e da non lasciarsi sfuggire.
Direi che per poter approfondire al meglio la questione dobbiamo senz’altro avvalerci dell’etimologia, partendo dal significato intrinseco che tale vocabolo ricopre nei vari ambiti della vita umana.
Avrete infatti ormai capito – se siete miei assidui lettori – quanto io non solo reputi fondamentale, ma anche adori il potenziale linguistico ed informativo rappresentato dalla storia e dalla derivazione di ciascuna delle parole che compongono il nostro linguaggio.
Innanzitutto, il termine crisi deriva dal verbo greco antico κρίνω (pronuncia: krìno), da cui il sostantivo κρίσις (pronuncia: krìsis), che può essere genericamente reso in italiano con “giudizio” e “criterio”.
Nel contesto giuridico, invece, esso indica il vero e proprio “processo” in tribunale, l’“accusa” che esso porta con sé o la “condanna” che può essere il suo esito.
Il senso che più ritengo utile ai fini di questo articolo è tuttavia quello scientifico – sia medico che psicologico – di “crisi” come la conosciamo nel parlato e nelle esperienze della vita quotidiana, intesa cioè come “fase critica”.
Analizziamo la portata di queste considerazioni.
Nello specifico della cornice biologica, la crisi sussiste ogniqualvolta in una qualsiasi malattia si verifica un rapido mutamento delle sue condizioni.
Sebbene nel corso del ventesimo secolo il concetto abbia cominciato ad assumere una valenza prettamente negativa, in realtà la crisi dell’organismo umano non è un’eventualità necessariamente spiacevole.
Quando la salute di una persona – e questo vale tanto per quella fisica quanto per quella mentale – subisce una scossa nel suo equilibrio, l’esito conclusivo può divenire per alcuni momenti incerto, ma, superata la perturbazione – che nel caso di un disturbo del corpo si manifesta spesso in modo improvviso, violento, ma con breve durata –, essa va finalmente incontro al suo destino.
È per questo che è uso frequente, nonché credenza popolare, affermare che una determinata situazione può incontrare facilità nel risolversi proprio dopo che una crisi sopraggiunta abbia fatto il suo corso.
Certamente, non è automatico che alla crisi segua un risultato positivo. Essa può portare, se non sbrogliata od adeguatamente affrontata, ad un inasprimento delle sue fasi, fino a uno sviluppo drastico e poco speranzoso delle stesse.
Su questo – soprattutto in ambito psicologico – tornerò a parlare tra poco.
Per ora mi interessa soprattutto che abbiate colto la crisi nella sua sfumatura di “picco”, ovvero di momentaneo impedimento la cui risoluzione può condurre ad un miglioramento dello stato preesistente.
Certo è che i periodi critici possono avere una profonda ripercussione sull’omeostasi del soggetto e sul suo equilibrio psichico.
La crisi provoca infatti smarrimento e inquietudine, poiché sconvolge l’assetto interiore della persona, mettendone in discussione i princìpi, le credenze e i presupposti che aveva ormai dato per assodati.
Questo è talmente vero che il dizionario Webster categorizza la crisi come un “punto di svolta”, cioè un momento in cui si avverte la necessità di prendere una decisione circa il fatto che un evento o una condotta debba continuare, stabilizzarsi oppure essere modificato.
Perfino la crisi dal punto di vista economico si mantiene coerente in questo meccanismo: l’individuo, più cosciente di cosa può permettersi in seguito al nuovo stato delle cose, pianifica e stabilisce le proprie linee d’azione sulla base della percezione, destabilizzante ma allo stesso tempo segnalatrice, di un cambiamento nei fattori economici e sociali che regolano la vita di tutti i giorni.
È proprio questa una parola che, personalmente, trovo molto connessa al concetto di crisi: il cambiamento.
È intrinseca natura di noi esseri umani provare agitazione, apprensione o addirittura paura per i mutamenti che possono toccarci in sorte: che sia nello stile di vita o nelle relazioni di coppia, in famiglia o all’interno del contesto scolastico e lavorativo, la contestazione delle routine e degli schemi consolidati nel corso degli anni provoca in genere sensazioni non indifferenti di instabilità e incertezza.
Indipendentemente dal fatto che giunga o meno ad una costruttiva pacificazione, quello che intendo sostenere in questa sede è che la crisi non deve essere aprioristicamente rifiutata, sminuita o rigettata come inutile o dannosa.
Allo stesso tempo, tuttavia, nel viverla non dobbiamo a mio parere permetterle di sgretolarci le più solide convinzioni, ad esempio quelle fondate sui sentimenti più puri ed autentici. In questi casi, è mia ferma opinione che dobbiamo accogliere la crisi semplicemente come una “piazzola di sosta”, un provvisorio e – per quanto perturbante – prezioso appiglio, un’occasione di intima riflessione tale da metterci in contatto con la più profonda e spontanea parte di noi stessi.
Spesso infatti io credo che la crisi abbia “semplicemente” la funzione di farci ponderare meglio alcuni aspetti di una situazione globale – senza per questo dover per forza abbandonare, per timore o confusione, un sentiero appena intrapreso quando esso è fonte di soddisfazioni e garante di un’indispensabile crescita personale.
A volte, addirittura, la crisi può essere la forza motrice che ci spinge a mettere in discussione stili cognitivi ed affettivi – cioè specifiche tipologie di ragionamento e di gestione delle emozioni – fino a vere e proprie storie relazionali, in cui ci si accorge di essere ingabbiati da tempo o che si è rigidamente abituati a protrarre per inerzia o senso del dovere.
Una vitale distinzione in psicologia è inoltre quella tra crisi evolutive e crisi accidentali.
Le prime sono determinate da eventi intrinsecamente legati allo sviluppo della persona nell’arco di vita. Sono dunque fisiologiche nel loro essere pressoché inevitabili e rivestono un preciso significato sulla base del contesto culturale in cui sono situate. Ne sono esempi i mutamenti fisici della pubertà e quelli psicologici dell’adolescenza, l’arrivo della menopausa, il pensionamento e il declino cognitivo – più o meno consistente – dovuto all’avanzamento dell’età.
Le crisi accidentali, invece, consistono in tutte quelle eventualità che irrompono in modo improvviso e imprevisto nell’esistenza dell’individuo, destabilizzandone l’equilibrio psico-emotivo. Tra le più rappresentative vi sono la perdita del lavoro o la sofferta variazione delle sue caratteristiche, la fine di una relazione, la diagnosi di una malattia e il lutto per la morte di una persona cara.
Secondo il mio parere, però, qualsiasi evento – incontrando in ciascuno di noi una soglia soggettiva di differente interpretazione – è suscettibile di scatenare una crisi.
Basti pensare, ad esempio, al caso di un genitore che assiste, dopo anni di vicinanza e comunione, all’allontanamento dei figli dalla casa di famiglia o, appunto, al pensionamento, il quale, mentre da alcuni può essere vissuto come una benedizione, da altri può essere letto come una condanna alla monotonia e alla stagnazione.
Prima di concludere, reputo di estrema importanza trasmettervi un altro messaggio: la prima accezione assunta dall’etimologia della parola “crisi” afferiva a tutt’altro campo – nello specifico, quello agricolo.
In origine, infatti, il vocabolo greco antico da cui deriva l’odierno termine italiano si riferiva all’operazione con cui si soleva – nella fase finale della mietitura del grano, cioè la trebbiatura – separare la granella del frumento dalla pula, ovvero l’involucro dei chicchi.
La connotazione di “separazione” e “divisione” denota una demarcazione tra un “prima” e un “dopo”, tra un presente che si dubita di poter ancora proseguire e un futuro parimenti vago e incerto.
Questo si rifà alla concezione di crisi come scelta e capacità di giudizio. La corretta – ripeto, corretta – differenziazione di qualcosa da qualcos’altro presuppone la consapevolezza, e quindi una buona capacità di discernimento, di ciò che significa fare una buona cernita.
Solo un bilancio adeguato e realistico – attenzione, non per questo freddo e calcolatorio, che non ascolti i propri sentimenti –, garantisce una presa di decisione il più possibile ottimale.
Da questo articolo sarei quindi molto contento e soddisfatto se avrete ricavato la visione della crisi come un processo, come una potenziale trasformazione di ciò che ci circonda, nonché come un’opportunità in grado di fornire – se accettata e vissuta senza sensi di colpa ed eccessive recriminazioni – una rimarchevole evoluzione di se stessi e una concreta valorizzazione delle proprie risorse.
Vorrei infine citarvi un aforisma – stavolta non mio, ma di Ernest Hemingway – che credo riassuma molto bene il senso di spaesamento spesso presente durante una crisi e l’inevitabilità con cui a volte essa ci costringe a realizzare che una scelta fatta – e dettata dallo stato di dissidio interno – può anche non essere, col senno di poi, quella giusta.
“Ai più importanti bivi della vita non c’è segnaletica.”
E voi, cari lettori? Siete mai stati stretti dalla morsa sovvertente e destrutturante della crisi? E quale tipologia – o tipologie – di crisi avete vissuto finora? Crisi mediche e di salute fisica? O più di tipo psicologico ed emotivo? Crisi sociali ed economiche? Oppure etiche e valoriali? O ancora, religiose e spirituali?
Vi invito come sempre a lasciare un commento e a condividere, se lo vorrete, la vostra esperienza e le vostre opinioni.
Nel frattempo, vi do appuntamento al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buongiorno Jacopo, da quello che ho letto deduco che una crisi psicologica possa considerarsi come un campanello d’allarme che la nostra mente ci invia per farci capire che c’è qualcosa che non va e che quindi dobbiamo correre ai ripari. Prendendo per buona questa eventualità ci si aspetta che con il procedere di una o più valutazioni e ragionamenti vari si possa affrontare e probabilmente superare la crisi stessa. In pratica è come quando ci si sente male e il nostro corpo ci invia segnali per cui ci si reca dal medico per poterci curare nella speranza di guarire il più in fretta possibile. Mi domando però quante crisi una persona riesce a sopportare nella vita, perché va bene che si pensa e spera sempre in un miglioramento della situazione in cui ci si viene a trovare, ma molte volte questo stato di cose può essere un fardello molto pesante da portare……
Prendiamo la crisi economica: se il lavoro non manca e quindi si ha un’entrata sicura e non si hanno mutui, debiti, spese impreviste e quant’altro ci si regola in base alle entrate, magari stringendo la cinghia ed eliminando le cose superflue, ma se si perde il lavoro e quindi l’unico sostentamento, ci si sente impotenti e disperati e magari ci si può sentire inutili e reietti. Le cose si complicano non poco, ma si spera di poter trovare un altro lavoro e dopo la tempesta torna il sereno. O no?
Prendiamo le crisi evolutive: si può pensare che sono cose scontate, ma non è mai così, soprattutto se parti già con il sentirti inferiore agli altri, perché gli altri ti ci fanno sentire così e tutto quello che hai ottenuto fisicamente parlando, col passare degli anni va peggiorando e ti senti sempre più stanca e le forze iniziano a diminuire prima del previsto, sebbene tu lo abbia messo in conto, entri in crisi. Nonostante questo puoi dire: “ok, ci stò con la testa, ho ancora la capacità intellettiva” tiri le somme, ti adegui, stringi i denti e continui a lottare. Se però subentra qualche malattia degenerativa non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente, allora sei fregata e di speranze non te ne rimangono molte.
Cosa dire delle crisi accidentali? Se ti capitano tra capo e collo ti distruggono. Pensiamo che dopo una vita passata insieme, a tuo marito (o moglie) venga diagnosticato un tumore tra quelli più aggressivi e nonostante tutte le cure, le visite e i rimedi (che cerchi disperatamente anche in internet), la malattia lo consumi e lo porti alla morte…….ti crolla il mondo addosso (il tuo mondo creato anno dopo anno con la persona amata). Qui non c’è santo che tenga…..ti senti risucchiare in un abisso e l’unica cosa che non ti permette di lasciarti andare è il pensiero dei vostri figli, che fungono da ancora di salvezza, ma ti senti svuotata dentro e ti assale un senso di disperazione che cerchi di contrastare con tutta te stessa, ma alla fine ti convinci che devi chiedere aiuto, perché da sola non puoi farcela e i tuoi figli soffrono lo stesso dolore per la perdita del loro papà e tu non te la senti di far pesare su di loro anche la tua sofferenza. Qui sei a pezzi.
Ora consideriamo l’allontanamento dei figli dal focolare domestico, sai che prima o poi dovrà succedere, ti dici che i figli li hai messi al mondo, ma non sono tuoi (nel senso che come te prima di loro, si creeranno la propria vita, magari non proprio dietro l’angolo di casa); cerchi di auto convincerti di questo, ma quando succede anche se sei (quasi) preparata, ti senti abbandonata, quasi tradita e se poi la distanza che vi separa è enorme, non puoi fare a meno di pensare che forse non lo riabbraccerai mai più, anche se la cosa può sembrare assurda, d’altronde il fato è dietro ad ogni angolo e ci si può incappare anche non volendo.
Concludo dicendo che è vero che c’è un prima e un dopo e che si pensa al futuro senza poche speranze e purtroppo devo dire che la crisi non è una scelta, ma la sento come un peso da portare non voluto né tanto meno cercato. Sono pienamente d’accordo con lo scritto di Hemingway che dice”ai più importanti bivi della vita non c’è segnaletica” ed è per questo che si va a sbattere e ci si fa molto, ma molto male.
Come si può capire dal mio scritto di crisi ne ho passate e ne sto passando molte e mi domando sinceramente, quante una persona nella vita possa sopportarne senza diventare un tantino demotivata?
Forse in questo periodo sono molto pessimista, ma non riesco a capire come una crisi alquanto pesante possa rendersi utile per una rimarchevole evoluzione di se stessi. Comunque la mia speranza è quella di poter riprendere in mano la mia vita, che il destino ha certamente messo a dura prova.
Cordiali saluti a Jacopo ed a tutti i lettori. Patrizia.
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