Buongiorno a tutti voi, cari lettori.
L’articolo di oggi rappresenta la quarta e penultima parte della sezione “Salute e Malattia”, che ho iniziato alcuni mesi fa.
Se avete letto gli scritti precedenti che la compongono (se invece non l’avete ancora fatto, vi consiglio vivamente di recuperarli al più presto sul mio blog), ricorderete che vi avevo esposto i primi tre criteri che possono essere utilizzati nella pratica clinica dai professionisti della salute mentale per individuare in un soggetto l’eventuale presenza di una psicopatologia.
Nel primo articolo ho discusso della cosiddetta richiesta di aiuto (“Cos’è la psicopatologia – Il primo criterio”), nel secondo della coppia irrazionalità/pericolosità (“Cos’è la psicopatologia – Il secondo criterio”) e infine nel terzo dell’importantissimo e affatto scontato concetto di devianza (“Cos’è la psicopatologia – Il terzo criterio”).
Oggi la mia analisi sarà invece incentrata sul quarto di questi parametri, di cui esaminerò come al solito sia le caratteristiche sia i punti di forza e di debolezza.
Sto parlando del distress emozionale.
Il distress emozionale non è altro che la sofferenza che l’individuo avverte in seguito ad una sensazione di disagio.
Tale sofferenza, come suggerisce il nome, è di tipo principalmente emotivo, pertanto qualsiasi manifestazione affettiva in grado di suscitare un malessere intenso – eventualmente acuto, ma ancor di più se cronico – può essere annoverata sotto questa etichetta.
Alla base di questo parametro sta il principio per cui a un disturbo psichico consegue un vissuto di dolore, di frustrazione, di malanimo: appunto, di distress (che, come avrò modo di spiegarvi in un mio futuro articolo, rappresenta la tipologia più negativa di stress.)
È un assunto senza dubbio sensato: una condizione patologica è solitamente accompagnata da una serie di sintomi in grado di ripercuotersi negativamente sulla salute psico-fisica della persona.
Ma questo, in realtà, non si verifica sempre e necessariamente.
E questo ci porta al primo limite che voglio farvi notare essere insito nel criterio del distress emozionale.
Non tutti i disturbi mentali, infatti, comportano una sofferenza chiara e distinguibile.
A volte infatti le persone, pur presentando alcune problematiche, possono non essere consapevoli delle stesse, fino addirittura ad usufruire di alcuni vantaggi derivanti dalla loro condizione.
Questo è il caso tipico di coloro che presentano un disturbo cosiddetto egosintonico.
Dal latino ego, che significa “io”, e dal greco antico syntonía, cioè “accordo di suoni”, l’etimologia indica tutte quelle patologie – ma anche i pensieri, gli stati d’animo e le convinzioni – vissute non come disturbanti, bensì come congrue alla propria identità e consone alle proprie esperienze di vita.
Non provocando quindi uno stato conscio di disagio, la persona è portata a credersi sana e – indipendentemente dal livello di gravità – a valutare come superflua qualsiasi tipologia di intervento nei suoi confronti.
Il distress emozionale, in tali casi, risulterà quindi scarso agli occhi del soggetto, o addirittura nullo.
Un esempio può essere rappresentato dai disturbi di personalità, che vi illustrerò all’interno di future pubblicazioni e che, come già vi allertavo nel primo articolo del mio blog, non devono essere confusi con il mediatico disturbo di personalità multipla – ora denominato disturbo dissociativo dell’identità.
Analizziamo nello specifico il disturbo narcisisitico di personalità.
Le persone che soffrono di questa patologia sono solite manovrare coloro che le circondano, usandoli come fossero oggetti e disfandosene quando non li reputano più utili ai fini del raggiungimento dei loro scopi egoistici.
In più mancano di empatia: ciò impedisce loro di calarsi nei panni altrui e comprendere così i loro bisogni e sentimenti.
Se questi tratti di personalità non dovessero essere ancora sufficienti a farvi capire ciò che voglio farvi intendere, ve ne cito un altro ancora – probabilmente il più conosciuto o intuitivo –, ovvero la tendenza dei narcisisti patologici a nutrire un eccessivo e grandioso senso di auto-importanza.
Il narcisista si ritiene quasi sempre superiore a chiunque altro, esagera ed ingigantisce le proprie azioni, millanta virtù che non ha o che possiede in trascurabile misura, richiede costante ammirazione da parte di chi gli sta intorno e si sente imperterritamente “in diritto”. Ciò significa che si aspetta di essere immancabilmente soddisfatto nelle sue irragionevoli pretese, ritenendo sia assodato e doveroso per quelli che considera suoi “sottoposti” riservargli sempre trattamenti speciali o di favore.
Avete compreso ora, cari lettori, qual è quindi la prima pecca del criterio del distress emozionale?
Non tutte le patologie prevedono un vissuto di disagio, ma possono anzi essere accompagnate – come il disturbo narcisistico di personalità dimostra – da stati di piacere, di superbia e di apparente benessere sulla base di un senso di soddisfazione di sé.
Anche i disturbi d’ansia e dell’umore, se di lieve entità, possono non risvegliare la consapevolezza dell’individuo di avere un problema, e così può essere anche per certi tipi di dipendenze (ad esempio da sostanze), che, specialmente nelle fase iniziali, procurano esclusivamente sensazioni di eccitazione, appagamento ed euforia, che ben raramente conducono alla ricerca di un servizio di salute mentale.
Tutt’altro discorso rivestono invece le patologie egodistoniche, accompagnate da un più o meno profondo – ma comunque significativo – malessere, da cui origina il fisiologico ed auspicabile desiderio di agire affinché questo scompaia o si riduca.
Gli stessi disturbi d’ansia e dell’umore che ho citato poc’anzi, ad esempio, se di entità moderata o severa si rivelano invece destabilizzanti per l’individuo.
L’umore notevolmente e persistentemente basso, la drastica riduzione della motivazione, la perdita dell’appetito (quando non accade il contrario), il senso di affaticamento ed eventuali pensieri suicidari sono esempi di sintomatologia egodistonica.
Parimenti, l’elevata apprensione e l’eccessivo senso di allerta tipici dei disturbi d’ansia, nonché le intense reazioni fisiologiche dell’organismo durante gli attacchi di panico, costituiscono un disagio rilevante per i soggetti che ne sono caratterizzati, che sono così più inclini a chiedere aiuto per la sofferenza che provano.
Potrei dirvi che l’articolo si conclude qui, ma in realtà ritengo sia fondamentale mettervi in guardia su un’altra contraddizione del parametro che vi sto illustrando.
Può infatti accadere anche l’esatto contrario di ciò che vi ho appena esposto, cioè la presenza di una significativa sofferenza emotiva in assenza di alcuna patologia.
Tre esempi che tengo a riportarvi in tal senso sono il lutto, l’omosessualità e il bullismo (a cui nel mio blog ho riservato – e sto riservando – un’intera, apposita sezione).
Il lutto per la perdita di una persona cara è un processo fisiologico, naturale, che giustamente indica quanto colui che è venuto a mancare fosse di estrema importanza per chi gli è sopravvissuto.
Allo stesso modo non sono affatto una malattia – benché ci sia ancora qualcuno che lo crede – gli orientamenti sessuali differenti dall’eterosessualità, ma ciò non impedisce a molti omosessuali e bisessuali, specialmente coloro che per questo vengono giudicati e biasimati, di provare ancora oggi un grande dolore e/o un senso di colpa e di disperazione.
Il bullismo, infine, praticato pressoché ovunque nel mondo, è un fenomeno che provoca nelle sue vittime un devastante vissuto di inferiorità e di isolamento, ma ovviamente chi ne è colpito – e in genere nemmeno i bulli stessi – non è certo un individuo affetto da malattie mentali, che semmai rischiano di svilupparsi successivamente come conseguenza di ciò che ha patito in precedenza, soprattutto se in maniera pervasiva e continuativa.
Risulta quindi evidente come, anche in assenza di una psicopatologia conclamata, si possa vivere un cospicuo e dolente distress emozionale.
Eccoci ora giunti veramente alla fine dell’articolo. Vi invito a lasciare un commento a quanto avete appena letto, a condividerlo e a fornirmi un rimando se è stato di vostro gradimento.
Cosa ne pensate del concetto di “distress emozionale”? Avete mai collegato la dimensione del disagio emotivo alle varie tipologie di malattia mentale? Se sì, in che modo? E oltre agli esempi che vi ho riportato io, quali psicopatologie – e, altrettanto, quali condizioni non patologiche – sono secondo voi le più idealmente rappresentate da un elevato grado di sofferenza?
Resto in attesa di un vostro gradito riscontro.
Oltre che salutarvi, non mi resta che darvi appuntamento al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buongiorno Jacopo, eccomi di nuovo qui a commentare i tuoi sempre interessanti e importanti articoli, che portano i lettori a riflettere molto sulle loro esperienze vissute o per lo meno a cercare di capire le proprie ed altrui emozioni. Devo dire che il mettermi in gioco ogni volta, per commentare con parole mie questi articoli, è un’ottima cosa che mi stimola sia intelletto che cuore.
Beh, io non pensavo che il narcisismo fosse una patologia, credevo che queste persone si credessero dei semidei o supereroi, a cui tutto è dovuto in quanto tali. Credevo che fosse una forma di vanità, di forte autostima, di poca considerazione verso il prossimo e di poca umiltà, insomma un’unione di strafottenza e insensibilità. Però è vero che questi narcisisti ne approfittano di questo loro stato ed alcune volte anche pesantemente. Che sia una cosa voluta o meno, resta sempre un comportamento molto deplorevole.
Per quanto riguarda gli stati d’ansia e dell’umore possono essere considerati anche in base al tempo? Io conosco alcune persone che in base al buono o cattivo tempo cambiano d’umore sia in bene che in male, può considerarsi una patologia, seppur lieve o è proprio caratteriale?
Per mia fortuna non ho mai sofferto di attacchi di panico, e spero vivamente di non doverne mai soffrire, attacchi d’ansia invece ne ho provati parecchi e anche quelli non sono per niente simpatici. In quanto ai pensieri suicidari penso che molte persone ne abbiano avuti, ed in questi casi, credo ci si possa far aiutare psicologicamente a contrastarli.
Per ciò che concerne il lutto per la perdita di una persona amata è una cosa straziante, anche se ogni lutto viene percepito ed elaborato in modi diversi da persona a persona non è mai semplice da affrontare, ed una mano per aggrapparsi a questa vita è sempre super gradita.
Per gli orientamenti sessuali al di fuori dell’eterosessualità posso solo immaginare la sofferenza provata da queste persone che vengono giudicate malate o pervertite, che non vengono accettate per quello che sono, molte volte anche dalla cerchia di persone a loro vicine e care. Penso alla sofferenza ed al conflitto che affrontano ogni giorno della loro vita, soli contro un’enormità di pregiudizi e cattiverie. Non posso pensare (anche se purtroppo è così) che al giorno d’oggi ci siano ancora persone capaci d’infliggere tanta sofferenza nel nome di un falso perbenismo o di un credo.
Infine cosa dire sul bullismo? E’ un atto vigliacco, immondo e ripugnante, ma ne ho già condiviso i miei pareri e pensieri, quindi non sto a dilungarmi sull’argomento, non perché lo ritenga cosa di poco conto, anzi, ma risveglia in me ricordi poco graditi e molto sofferti.
Saluti da Patrizia.
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