Buongiorno a tutti, cari lettori.
Al contrario della mia intenzione, che fin dalla scorsa settimana era già molto chiara e risoluta su quale argomento vi avrei esposto oggi, questo articolo si propone di trattare una tematica che mette in campo tutta l’incertezza e l’indecisione che ci caratterizzano come esseri umani nel momento in cui dobbiamo effettuare una scelta.
Avete mai dovuto fare i conti con una decisione difficile da prendere?
Vi siete mai trovati di fronte a una serie di alternative non sapendo bene su quale indirizzarvi?
E vi siete mai chiesti come funziona la nostra mente nel momento in cui le imponiamo di fare un bilancio e giungere a un verdetto?
In questo scritto, intendo illustrarvi tutte le possibilità in cui può venirsi a creare un cosiddetto conflitto decisionale, mostrandone le caratteristiche e le implicazioni.
Il termine “conflitto” in psicologia possiede diverse accezioni semantiche, ma ai fini di questa pubblicazione vi propongo la definizione che reputo migliore – e comunque, la più utile – per comprendere appieno ciò che intendo esporvi.
Sussiste un conflitto ogniqualvolta, all’interno dell’individuo, si manifestano contemporaneamente due diverse forze di uguale intensità (o pressoché uguale, aggiungerei) ma di verso opposto.
Per “forza” si intende qualsiasi desiderio, emozione od impulso si agiti nel soggetto motivandolo all’azione.
Queste propensioni energiche possono essere di due tipi: appetitive o avversative.
Le tendenze appetitive promuovono un comportamento di avvicinamento – una cosiddetta “reazione adiente” – mirante cioè all’approccio, che sia a una situazione, a un oggetto, a un animale o a una persona –, mentre quelle avversative favoriscono una “reazione evitante”, che consiste in un atteggiamento di allontanamento e di chiusura.
Voglio subito sottolineare un concetto che mi sta molto a cuore, e cioè che il conflitto non è necessariamente negativo, anzi. Come per la nozione di crisi – di cui ho dibattuto in un mio precedente articolo e di cui vi consiglio vivamente la lettura (“La crisi – Un concetto critico”) –, se siamo pervasi da un dilemma – termine a cui è accostabile il conflitto decisionale –, vi è sempre una ragione ben precisa.
Ma su questo tornerò alla fine dell’articolo.
Ora, dopo avervi spiegato la definizione di conflitto, vediamo quali sono le differenti tipologie di conflitto decisionale.
Esse sono principalmente quattro – sulla base della teorizzazione di un noto psicologo di orientamento gestaltico, Kurt Lewin – e sono individuate sulla base delle diverse combinazioni realizzabili tra tendenze appetitive e tendenze avversative.
- La prima categoria è il conflitto tra due tendenze appetitive.
Esso si verifica quando siamo parimenti bendisposti verso due stimoli, entrambi caratterizzati da aspetti positivi. Le due opzioni, ugualmente ambite – o, ancor più frequentemente, percepite come ugualmente ambite, dato che nella realtà difficilmente si incontrano due stimoli apprezzati esattamente nello stesso modo –, creano una certa tensione, perché l’una viene valutata come escludente l’altra.
A volte, è perfino possibile che il soggetto oscilli tra le due alternative non riuscendo a prendere una scelta. È il tipico caso rappresentato dal leggendario asino di Buridano, animale che, trovatosi di fronte a due mucchi di fieno posti alla stessa distanza, non è in grado di prendere l’iniziativa, tentenna e finisce per morire di fame.
A tal proposito, tuttavia, mi sento di dire che noi esseri umani, in casi del genere, sappiamo in realtà molto bene quale dei due mucchi di fieno è in grado di fornirci il vero e autentico nutrimento. Dobbiamo solo concederci di ammetterlo a noi stessi.
- La seconda classificazione è il conflitto tra due tendenze avversative.
Qui ad essere contrastanti tra loro sono due stimoli che possiedono entrambi una valenza negativa per la persona, o che comunque si dimostrano particolarmente salienti per un tratto fastidioso o sgradevole.
Lo scopo che solitamente ci si propone – salvo tendenze masochistiche dovute per esempio ad eccessivi sensi di colpa – è dunque quello di scegliere il male minore. Se il danno viene presagito in pari modo qualunque sia l’esito, il soggetto rischia di stagnarsi in una situazione di stallo.
Un esempio è costituito dall’individuo che sa in cuor suo come non dovrebbe più sostenere un rapporto difficile e privo di fiducia con il proprio partner, ma che per timore dell’opinione altrui – o per l’implacabilità della sua stessa coscienza, giudice ancora più severo – si costringe a perpetuare la dinamica in cui si trova incastrato.
- La terza eventualità è il cosiddetto conflitto tra tendenza appetitiva e tendenza avversativa per il medesimo oggetto.
In questo caso, uno stimolo racchiude in se stesso caratteristiche sia positive che negative. La persona sarà quindi incerta se avvicinarsi od allontanarsi da ciò che desidera e allo stesso tempo rifugge.
Fintanto che non risolverà il conflitto, essa potrà altalenare l’approccio all’evitamento oppure bloccarsi a metà strada tra i due atteggiamenti.
Un dilemma di questo tipo, anche mantenendoci su un piano molto quotidiano, si può verificare quando un individuo brama fortemente una pietanza che non prova da mesi, ma allo stesso tempo, al pensiero di trasgredire la dieta che si è imposto di seguire, giudica tale cibo una deviazione da un giusto proposito.
Ammesso che la dieta in corso sia un accorgimento corretto e non un tentativo di auto-regolazione troppo restrittivo o controproducente, egli non riuscirà comunque a conseguire il benessere che si merita, se, ogni volta che si trattiene, si priva di qualcosa che ha scoperto essere anche un suo bisogno, o comunque qualcosa – o qualcuno – in grado di procurargli armonia.
- L’ultima tipologia di antinomia è infine il conflitto tra molteplici tendenze appetitive e avversative.
Esso si configura come la discordanza più frequente all’interno della vita quotidiana e prevede una forte indecisione scatenata dal rilevare in più oggetti o possibilità componenti sia benefiche che repulsive.
Emblematico è il caso della scelta del lavoro. Se di fronte a due o più mansioni si riscontra in tutte queste sia vantaggi che svantaggi, il bilancio su quale sia la più opportuna da accettare o su cui proiettarsi può risultare molto difficile.
Ribadisco che è la tipologia di conflitto statisticamente più consueta, perché nella realtà che viviamo è piuttosto raro – anche se non impossibile – trovarsi di fronte a scelte “bianco-nero”, in cui un’opzione si presenta come totalmente positiva e un’altra come esclusivamente negativa.
In quanto esseri umani, però – e questo lo constato sia nella mia esperienza professionale che in persone a me molto care –, siamo molto bravi a complicarci l’esistenza, o addirittura mortificarla, tarpandoci le ali da soli di fronte alla possibilità di spiccare il volo.
Anche quando il nostro cuore ci indica la strada da intraprendere – e in maniera razionale, non irrazionale come alcuni erratamente gli imputano –, molti di noi seguitano ad ignorare le proprie vere inclinazioni ed aspirazioni e si impongono di rimanere imprigionati in fondo a un pozzo prosciugato piuttosto che risalire per potersi abbeverare presso una fonte cristallina.
Come afferma Francois-Renè De Chateaubriand,
“l’orgoglio è la virtù dell’infelice”,
mentre per John Ruskin
“l’orgoglio è alla base di tutti i grandi errori”,
anche di quelli rappresentati da scelte sbagliate ma verso cui si fa di tutto pur di non ricredersi.
Un altro tipo di errore che si commette frequentemente verso se stessi è il restare in attesa – in modo indolente od assurdamente tollerante, ma spesso definendosi “determinati” per non rendersi conto di ciò – che le cose migliorino per conto proprio o, in situazioni che riguardano altre persone oltre che se stessi, credendo che sia sufficiente un impegno unilaterale.
Se una persona, ad esempio, fosse realmente – sottolineo, realmente – felice di chi è e di ciò che ha già, non sarebbe minimamente toccata dal “nuovo”, in quanto il “vecchio” costituirebbe già tutto ciò di cui ha bisogno.
Il problema, inoltre, emerge soprattutto quando il conflitto resta inconscio, quando cioè una parte di noi – quella più timorosa e confusa – fa di tutto per non lasciarlo affiorare e lo relega invece negli abissi della più passiva delle rassegnazioni. Mentendo a se stessi prima ancora che agli altri, ci si illude di star bene, di non dover prendere consapevolezza di alcunché, e la funzione positiva e segnalatrice del conflitto, essendo ignorata, viene totalmente sprecata, quando invece bisognerebbe ascoltarla, in quanto campanello d’allarme che ci urla in tutti i modi che la nostra vita deve cambiare, che non deve più essere umiliata dai rigidi schemi e dalle irrealistiche e autolesionistiche aspettative in cui spesso tendiamo a rinchiuderci.
Per usare ora uno dei miei aforismi personali,
“non si deve temere il nuovo, quando esso ci fa capire che il vecchio ci ha reso altrettanto vecchi uccidendoci prima del tempo.”
Questo è il mio appello finale: non dobbiamo avere paura di scegliere, né spaventarci al solo pensiero di chiederci se una scelta che abbiamo fatto è davvero quella giusta per noi.
Abbiamo sempre la possibilità di scegliere, e comunque le nostre decisioni non sono irreversibili.
Se siamo convinti del contrario, è solo perché siamo noi per primi il vero ostacolo alla nostra felicità.
Il mio SITO WEB (consulenze, video-sedute, aree di intervento, recensioni e contatti):
Psicologo Treviglio – Dott. Jacopo Pesenti – Studio di Psicologia
Cari lettori, quante volte vi siete trovati in difficoltà di fronte a una scelta della vostra vita? E in quale o quali tipologie di conflitto che vi ho analizzato vi ritrovate più spesso immersi?
Piccoli o grandi che siano, come avete affrontato i dilemmi che vi si sono insinuati nella mente e nell’anima? E soprattutto, li avete davvero affrontati? Oppure, fingendo di averlo fatto, li avete rimossi o addirittura volutamente ignorati per evitare di mettere in discussione alcuni vostri intenti e credenze?
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo mio articolo, commentate e ponetemi pure tutte le vostre domande, curiosità e richieste di approfondimento.
Nel frattempo, vi do appuntamento alla mia prossima pubblicazione.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buonasera Jacopo, cosa dire? La vita ci mette sempre davanti a delle scelte, a volte facili e quasi scontate, a volte difficili e molto sofferte. Già da piccoli i nostri gusti e le nostre preferenze sono molto spesso in conflitto. Prendiamo per esempio la classica letterina che si scrive a Babbo Natale, chiedendo i doni ambiti, quante volte i nostri figli sono indecisi sui regali che devono ricevere, ma che in egual modo desidererebbero avere, si ritrovano a scrivere dei papiri. Quante volte da ragazzini/e siamo attratti/e da più di un ragazzo/a, che per motivi diversi ce li fanno piacere entrambi e non siamo riusciti a decidere con chi uscire la domenica pomeriggio a mangiare un gelato o andare al cinema. O quando finalmente si prende la patente, il dilemma cade sulla scelta dell’automobile che più ci piace e su quella che è più a portata del nostro portafoglio. Sono tantissime le scelte che nel corso degli anni della nostra vita ci troviamo a dover prendere e molte volte la scelta è ardua, ma nel bene o nel male bisogna cercare di valutare i pro e contro tenendo ben presente che dovrebbe essere una decisione più possibilmente consona con le nostre esigenze ed i nostri bisogni. Purtroppo la scelta non è mai facile e scontata.
Quando devi decidere se è giunto il momento di dare la morfina ad un tuo caro per accompagnarlo serenamente verso la fine della sua esistenza e vorresti con tutte le tue forze ritardare il più possibile quel momento, pur sapendo che sarebbe la cosa giusta per lui, che almeno se ne andrebbe nel sonno, ma non riesci egoisticamente a lasciarlo andare, alla fine ti rendi conto che devi scegliere quello che ritieni sia la cosa migliore per lui anche se ti costa un enorme sacrificio. Col senno del poi capisci di aver fatto la tua scelta per il bene di entrambi. Certo è, che non può essere stata una decisione facile e scontata, ma una presa di coscienza dettata dal cuore anche se va contro il tuo cuore.
Se i tuoi figli decidono di partire per le strade della loro vita, scegliendo di andare a kilometri di distanza da te e da tutto quello che tu avresti sperato che facessero, ma vicino a te, ti trovi a dover scegliere tra l’augurare che i loro sogni si avverino al più presto e il tuo cuore di mamma che urla disperato di non lasciarli andare. Sai comunque che li devi incoraggiare, li devi sostenere nelle loro scelte e decisioni. Ti costa una cifra, ma è la loro vita, non la tua. Poi pensi che anche per loro la scelta compiuta non è stata delle più facili, perché anche loro sono allo sbaraglio della vita e tu come mamma devi saper affrontare, o per lo meno provare ad affrontare con loro quel che sarà. Devi aiutarli ad affrontare con serenità, forza e determinazione i vari ostacoli che incontreranno sul loro cammino. Devi scegliere di lasciarli volare con le proprie ali, devi scegliere di non tarpare queste loro ali, anche se ti comporta una grande sofferenza. Devi decidere, per il loro bene e per il bene della tua coscienza.
La vita, si sa, non è tutta rose e fiori e ci pone sempre nuove sfide, sta a noi cercare di fare la scelta giusta o per lo meno che ci sembra più adeguata a noi, alle nostre esigenze, alle nostre emozioni del momento. Certo non sempre è semplice come bere un bicchier d’acqua, però, secondo me, un pizzico (ma proprio un pizzico) di avventatezza ogni tanto, potrebbe diventare un toccasana per lenire le nostre anime indecise.
Non so se pubblicare questo mio sconclusionato commento, ma lo pubblico proprio perché è così.
Saluti da Patrizia.
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