Buongiorno, cari lettori.
Come avete trascorso lo scorso San Valentino?
In modo sereno e pacifico? O in maniera aspra e combattiva?
L’avete passato all’insegna del romanticismo in presenza della vostra dolce metà? Oppure godendo della piacevole, solitaria ma ugualmente importante compagnia di voi stessi, accoccolati sul divano sotto le coperte a gustarvi una cioccolata calda e un buon film?
Nello scorso articolo riguardante il bullismo (“Il bullismo, parte II – Gli attori del bullismo”), ho discusso di quali tipi di attori sono soliti calcarne il palco – chi più consciamente, chi meno consapevolmente –, contribuendo comunque tutti al vortice di violenza e sofferenza psicologica che il bullismo porta con sé. Di ognuno di questi personaggi ho descritto le principali caratteristiche, delineando un profilo della loro personalità e del ruolo che ricoprono negli episodi di bullismo che si verificano nel contesto intra- ed extra-scolastico.
In questo articolo, come vi ho anticipato nel precedente, intendo trattare le peculiarità di una figura poco conosciuta all’interno del fenomeno sociale del bullismo, un attore – per usare la terminologia della metafora teatrale che ho introdotto nella seconda parte di questa sezione – che tende ad impersonare entrambi i ruoli principali della sceneggiatura, ponendosi allo stesso tempo a metà strada tra il protagonista (la vittima) e l’antagonista (il bullo).
Non a caso infatti la sua denominazione scientifica è quella di “bullo-vittima”.
Si può essere dunque contemporaneamente vittima e carnefice?
Spero che sia questa la domanda che vi siete posti, e magari già prima dell’inizio del mio articolo, quando ne avete letto il titolo.
La risposta al quesito, ad ogni modo, è sì.
Questo è vero soprattutto quando aver subìto esperienze da vittima predispone all’adozione di condotte persecutrici. Avrò modo di illustrare approfonditamente come funzionano tali meccanismi in alcuni miei scritti futuri, anche slegati dalla tematica del bullismo.
Ma devo specificare che nel bullo-vittima l’interpretazione di entrambi i ruoli avviene in contemporanea, non è spiegata solo mediante una prospettiva temporale diacronica, cioè verticale, secondo cui allo stato di vittima consegue solo successivamente quello di vessatore.
Certo, questa prospettiva può sussistere quanto a gettare le radici del fenomeno; ma la sua attuazione nel presente e il mantenimento di tale dualismo si fonda su una temporalità sincronica, orizzontale, che prevede la continua alternanza dei due ruoli da parte della persona e, precisamente, l’assunzione di un comportamento aggressivo con alcuni coetanei e di un comportamento passivo con altri suoi pari.
Secondo uno studio di Marini, Dane e Bosacki del 2006, almeno un terzo dei giovani che sono stati bulli o vittime nel corso degli anni scolastici si è rivelato essere in realtà composto da veri e propri “bulli-vittime.”
Può sembrare insolito o addirittura illogico, ma la conferma della veridicità di questa ambivalenza arriva dal fatto che il bullo-vittima presenta, come effetti psicologici negativi della sua condotta persistente, sia quelli tipici della vittima che quelli propri del bullo.
Innanzitutto, in quanto vittima, soffre con maggiore probabilità di disturbi dell’umore – specialmente di tipo depressivo – e di ansia intensa e cronica, accompagnati da una spiccata tendenza al ritiro sociale – che ci tengo a dire è causa e al contempo conseguenza della solitudine che prova rispetto ai suoi coetanei.
Il bullo-vittima è anche soggetto – anche qui similmente alle vittime di bullismo – ad un maggior rischio di suicidio, alternativa estrema e a volte percepita come l’unica possibile per porre fine al dolore che lo devasta, risultato delle aggressioni e dell’emarginazione sociale cui è sottoposto.
Il bullo-vittima, però, è allo stesso tempo più vulnerabile dei suoi pari allo sviluppo di disturbi tipici del bullo cronico e recidivo, ovvero disturbi della condotta, sfida all’autorità, difficoltà scolastiche e messa in atto di comportamenti che prevedono oppositività e trasgressione delle regole.
L’adozione di simili atteggiamenti predispone inoltre il bullo-vittima ad essere ignorato o costantemente rifiutato dai suoi compagni, non riuscendo così ad ottenere un riconoscimento né ad instaurare un efficace rapporto di condivisione con i membri del suo contesto di appartenenza.
Uno degli aspetti principali che, tuttavia, differenzia il bullo-vittima dal “bullo puro” – quello cioè aggressivo ma confidente – è la bassa autostima e la scarsa popolarità presso i coetanei, i quali invece, pur giudicandolo provocatorio, tengono questa seconda tipologia altamente in considerazione in virtù del suo status sociale, della sua notorietà e della sua salienza nello scenario scolastico.
La dimensione psicologica che ritengo essere il fattore principale alla base di questa tipologia di condotta – in linea con quanto affermato da Schwartz, Proctor e Chien (2001) – è la difficoltà dei bulli-vittime ad esercitare un controllo sulle proprie emozioni.
La spiccata reattività di questi giovani li porta a ribattere in modo impulsivo alle provocazioni e alle molestie dei bulli aggressivi che li circondano. Ciò favorisce in questi ultimi la propensione a ripetere nel tempo su di loro i soprusi, ben consapevoli di trovare un terreno fertile su cui piantare i semi della violenza.
Ogni tentativo di difendersi da parte del bullo-vittima viene subito letto dal bullo come una strategia inutile e vana, incapace di interrompere il circolo vizioso in cui sono entrambi loro malgrado incastrati, con il primo a farne però più palesemente le spese.
In maniera molto simile e secondo il medesimo meccanismo, il bullo-vittima non è in grado di gestire le emozioni dirompenti che avverte dentro di sé, specialmente la rabbia e la frustrazione – ulteriormente alimentate dal fatto di percepirsi indifeso e impotente di fronte alle aggressioni che non è in grado di affrontare –, che è così pronto a riversare contro i compagni che considera più deboli e su cui percepisce di poter imporre la propria volontà.
Il fatto di trattare alcuni suoi coetanei nello stesso modo in cui egli viene trattato dai bulli può anche essere interpretato – secondo la mia opinione personale – come una strategia di compensazione, un modo disperato per recuperare parte del controllo che sente di aver perduto e di non possedere più a seguito delle prepotenze subìte sulla propria pelle. Nonostante gli effetti infruttuosi e controproducenti di questa linea d’azione, essa rappresenta per lui un modo disperato per fare qualcosa, piuttosto che non fare nulla.
Sono le competenze emotive e socio-relazionali a mancare e a giocare in suo sfavore. Le sue intenzioni a volte possono anche essere benevole, ma le modalità disfunzionali con cui cerca di concretizzarle fanno fallire in partenza le interazioni con gli altri.
Ci tengo infine a sottolineare che ogni bambino, bambina, ragazzo e ragazza può, anche in momenti diversi – in seguito ad esperienze di vita e a turbamenti emotivi differenti –, rivestire il ruolo prima di bullo e poi di vittima, o viceversa (prospettiva diacronica), non rientrando quindi precisamente nella definizione di “bullo-vittima”, ma attuando parimenti entrambe le dinamiche contrapposte, con tutti i disparati possibili effetti che ho sopra descritto.
Intervenire anche su questo tipo di vittime – inusuali perché meno passive e apparentemente ambigue, ma che, ricordo, devono comunque essere considerate tali, in quanto anch’esse costrette nelle maglie soffocanti e oppressive del bullismo – si rivela dunque fondamentale.
Trascurare questa parte del fenomeno implicherebbe infatti ignorare il peso di uno degli ingranaggi che, sempre e ovunque, sono pronti a scattare e a mettere in moto il pericoloso macchinario che è il bullismo.
Il mio SITO WEB (consulenze, video-sedute, aree di intervento, recensioni e contatti):
Psicologo Treviglio – Dott. Jacopo Pesenti – Studio di Psicologia
Spero che l’articolo vi sia piaciuto e che abbia soddisfatto la vostra curiosità in merito alla domanda che ho espresso nel titolo.
Come sempre, vi invito a lasciare un commento e a farmi sapere che cosa ne pensate.
Vi eravate mai posti questo quesito? Avevate mai considerato i giovani come quello che vi ho dipinto nell’ottica di una vittima, oltre che di un carnefice? E voi avete mai avuto esperienza di persone che sono state – nei vostri o in altrui confronti – contemporaneamente bulli e vittime? O è mai capitato proprio a voi nella vostra vita di rivestire quei panni?
In attesa di un vostro riscontro, non posso che salutarvi e darvi appuntamento al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Infondo il bullo è una vittima anche di se stesso non riesce ad interagire si sente inferiore ed è per questo che ha bisogno del branco per gasarsi
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Buonasera Gianluca,
grazie del suo intervento.
Ha ragione: non solo il bullo-vittima, ma anche il bullo “puro” e aggressivo secondo me spesso non sa dare un nome al disagio che prova nelle interazioni interpersonali. Egli dunque lo agisce, lo cala direttamente sugli altri, preferendo veder soffrire chi lo circonda piuttosto che far luce su se stesso, e questo è un meccanismo presente in molte dinamiche e fenomeni, non solo in quello del bullismo.
Le consiglio tuttavia la lettura di un altro mio articolo, “Il bullismo, parte II – Gli attori del bullismo”, se non l’ha già fatto. In esso, mostro come non sempre in realtà il bullo sia caratterizzato da una scarsa autostima, e come quindi non raramente siano altre le ragioni che lo motivano a mettere in atto condotte oppressive.
Se lo vorrà, un mio futuro articolo sulla sezione “Bullismo” sarà invece incentrato proprio sull’importanza e sul peso che il pubblico di spettatori ricopre nell’esordio e nel mantenimento dei comportamenti del bullo.
Con la speranza di risentirla presto, la invito a seguire e ad esplorare il mio blog e a rivolgermi qualsiasi suo dubbio, curiosità o richieste di delucidazioni ed approfondimenti.
Le auguro una buona serata!
Dott. Jacopo Pesenti
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Buonasera Jacopo, personalmente ho passato un buon San Valentino tutto al femminile, ma molto piacevole con le mie ragazze e mia cognata. Grazie.
Bene per tornare al bullo/vittima devo dire che di primo acchito è difficile pensare che il bullo sia una vittima, e anche se può sembrare un ragionamento alquanto strambo più ci si pensa più ci si trova a considerare la cosa possibile. Di fatto penso che all’origine del bullo ci siano angherie subite, rancori mai sopiti, isolamento dai propri coetanei, solitudine, incomprensioni e magari anche grossi problemi a livello familiare. Certo è che se un ragazzo vuole attirare l’attenzione su di sé usando la violenza come mezzo di comunicazione, pensiamo a come possa star male e come si possa sentire solo ed oppresso, senza nessuno che cerchi di capirlo e senza nessuno che gli allunghi una mano. Non sto dicendo che sia un comportamento corretto, ma forse è l’unico che lui conosce, l’unico che lo faccia sentire in qualche modo all’altezza dei suoi compagni. E’ certamente una lama a doppio taglio con cui ferisce gli altri, ma che gli si ritorce contro. Mi domando: se questo bullo non è in grado di gestire la sua rabbia, le sue emozioni così violente come può essere aiutato se il suo atteggiamento non fa altro che allontanarlo da ciò che lui stesso sta cercando di ottenere, seppur nel modo sbagliato? Come lo si può aiutare se lui stesso si fa risucchiare dal vortice di violenza?
Ci credo che poi gli si presenti il suicidio come unica soluzione alle sue pene. Chissà che tormento deve avere nell’animo. Purtroppo nella vita tutti noi credo, bene o male, abbiamo subito atti di bullismo, però con la comprensione di persone care ci siamo risollevati e abbiamo trovato il coraggio di affrontare nel modo più adeguato certi comportamenti, ma se non conosci altro che la persecuzione, la rabbia, la violenza, come puoi riuscire a combatterle?
Mi auguro che questi ragazzi, adulti o bambini trovino in sé la forza di reagire a questa spirale che li stritola, mi auguro che trovino l’amore e la comprensione necessari a guarire le loro pene e che non pensino mai e poi mai che sono inutili, ma proprio il fatto di esserci, di esistere li renda consapevoli delle loro potenzialità, della forza (non fisica)che possono attingere in se stessi per poter dire io ce l’ho fatta e ora posso dare una mano a chi ha bisogno e voglia di afferrarla.
Un caro saluto. Patrizia.
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