Buongiorno a tutti voi, cari lettori.
Nel decidere l’argomento su cui imperniare l’articolo di oggi, negli ultimi giorni mi sono soffermato a riflettere sul comportamento di una persona a me molto cara. Pur conoscendo ormai molto bene la sua linea di condotta, mi sono trovato a pensare che certi suoi atteggiamenti non possono che ferire coloro che le vogliono bene.
E mi sono chiesto, non per la prima volta:
“Perché alcune persone, pur sapendo perfettamente di essere nel torto e di urtare gli altrui sentimenti, seguitano imperterrite a commettere i soliti, dannatissimi errori? Perché non riparano le proprie colpe, perché non riempiono i loro silenzi e le loro assenze?”
A maggior ragione se continuano ad affermare che hanno intenzione di migliorare e ufficializzano tali parole infarcendole di promesse (a tal proposito, vi consiglio la lettura di un mio precedente articolo, “AFORISMI PERSONALI – Promessa”, e la visione del mio primo video-articolo, “LO PSICOLOGO INTERPELLA – EPISODIO 1 – Promesse e giuramenti”).
Le loro sono soltanto menzogne? (anche qui, vi suggerisco la lettura dell’articolo “AFORISMI PERSONALI – Menzogna”).
Ma non è questa la domanda a cui voglio dare una risposta oggi, bensì proporre una mia interpretazione –ritengo molto promettente e spero anche interessante per voi che vi accingete a scoprirla – che spieghi il motivo per cui almeno alcuni di questi individui, che pur sembrano in qualche modo tenere a noi, persistono nella loro discutibile condotta.
Lasciate dunque che vi racconti un esperimento della psicologia da cui sono partito per trarre questa conclusione.
Mi riferisco a uno studio effettuato da una neuroscienziata cognitiva, Sara Bengtsson, nel 2009.
Nella sua ricerca, ella si proponeva di influenzare le prestazioni di alcuni studenti di college in una serie di compiti presentando loro prima dello svolgimento di tali test alcune parole.
Nel frattempo, mentre i soggetti sperimentali venivano esposti a tali stimoli, i loro cervelli venivano in contemporanea sottoposti a scansione da una risonanza magnetica funzionale, mostrando configurazioni diverse di attività cerebrale.
Ad alcuni degli studenti sono stati rivolti termini quali intelligente, furbo e brillante.
Ad altri, invece, aggettivi opposti come stupido, tonto e lento.
Dopo questa preparazione, in cui – vi ricordo – è stata monitorata, come in un filmato in diretta, la loro attività cerebrale, ai partecipanti è stato chiesto di svolgere dei test cognitivi.
Cosa vi aspettate che sia successo? Quali sono stati secondo voi i risultati di questo esperimento?
In pratica, è stato riscontrato che i partecipanti – e i loro cervelli – hanno reagito in maniera diversa quando commettevano degli errori a questi test a seconda del fatto che prima siano stati orientati con parole come intelligente oppure con vocaboli come stupido.
Nello specifico, la corteccia prefrontale mediale – un’area del lobo frontale, le cui dimensioni e il suo sviluppo sono prerogative soprattutto dell’essere umano – ha avuto una risposta differente nelle due distinte categorie di soggetti.
Coloro che erravano nei test dopo essere stati esposti ad aggettivi elogianti erano caratterizzati da un’attivazione della corteccia prefrontale mediale significativamente più elevata rispetto a coloro sottoposti ad aggettivi avvilenti.
L’aspetto fondamentale è che tale area rimaneva piuttosto silente non solo negli studenti che erravano in seguito all’esposizione a parole quali stupido, tonto e lento, ma anche nei giovani dell’altro gruppo quando, in seguito a parole incoraggianti, non incorrevano in errori e davano invece risposte corrette.
Ciò su cui vorrei quindi farvi concentrare è che tale area cerebrale si attivava soltanto quando le prestazioni dei partecipanti erano in disarmonia con i termini a cui erano stati esposti in precedenza.
Tali parole, infatti, pur essendo di per sé stimoli irrilevanti, hanno creato nei soggetti delle aspettative inconsce su come si sarebbero comportati successivamente nell’esecuzione di prove intellettive.
Capite ora su cosa intendo farvi ragionare?
Un ruolo fondamentale – questo è ciò che personalmente sostengo – è rivestito dall’emozione dello stupore.
È lo stupore dei soggetti preparati con parole galvanizzanti che attivava la loro corteccia prefrontale mediale quando fallivano, ed è sempre lo stupore che innescava la suddetta area negli studenti preallertati con termini negativi quando essi riuscivano invece ad avere successo.
Di converso, questa regione cerebrale rimaneva neutra in chi era performante nei test aspettandosi già di ottenere buoni risultati e in chi si dimostrava scarso senza però sorprendersi di tale esito.
Ora torniamo alla vita reale.
Dopo avervi descritto questo esperimento e le conclusioni che ne ho tratto, capite dove voglio arrivare?
Personalmente, credo che alcune persone continuino a sbagliare – verso se stesse o nelle relazioni con gli altri – perché già in partenza nutrono basse aspettative di poter cambiare in meglio.
È come se, dopo aver fallito tante volte – che gli altri glielo facciano notare o meno –, si siano rassegnate e non considerino nemmeno, o comunque non veramente, l’idea di poter far prendere una direzione diversa al proprio comportamento.
Alcuni ci rinunciano a priori, altri mentono (“AFORISMI PERSONALI – Menzogna”), simulando un interesse a trattare meglio gli altri che in realtà nemmeno hanno. Altri ancora dichiarano l’intenzione di riparare ai propri errori, eppure ricadono sempre nelle stesse dinamiche che faticano ad abbandonare.
Ma perché c’è questa fatica? Perché, se una persona è veramente convinta di voler migliorare la propria condotta e fare ammenda dei propri errori, persiste nel ripresentarli a scapito anche del benessere e della fiducia altrui?
Perché sono i primi a non avere sufficiente fiducia in se stessi, questa è la mia risposta.
Non hanno abbastanza autostima, o meglio ancora non hanno un adeguato senso di autoefficacia. Sono cioè i primi a credere persa in partenza una battaglia che, se solo affrontassero con un atteggiamento differente e più spontaneo – non reputandola un conflitto armato, bensì un’occasione per migliorarsi, un sano processo di crescita personale –, riuscirebbero senza nemmeno eccessivi sforzi a portare a termine uscendone non solo incolumi, ma perfino rafforzati.
Lo stupore, questo occorre! Se sono i primi a non sorprendersi di essere precipitati nelle consuete trappole, se sono i primi a non ritenere strano di aver riproposto le stesse routine, di essersi avvalsi dei medesimi, fissi schemi di azione, per forza non si impegneranno in maniera sufficiente per migliorare la situazione.
Lo scarso impegno produrrà gli stessi errori, che come in un circolo vizioso essi considereranno come la prova della loro incapacità e impossibilità a cambiare.
Ma il cambiamento è sempre a portata di mano.
Bisogna avere solo meno paura e un po’ più di coraggio.
E fiducia. Non solo negli altri, ma anche in se stessi (e a tal proposito, vi rimando più che volentieri al mio articolo “AFORISMI PERSONALI – Fiducia”).
Solo così riusciremo a imparare dai nostri errori e a non replicarli sempre allo stesso modo, non stimando noi stessi e ferendo i sentimenti degli altri.
Il mio SITO WEB (consulenze, video-sedute, aree di intervento, recensioni e contatti):
Psicologo Treviglio – Dott. Jacopo Pesenti – Studio di Psicologia
Cari lettori, spero che abbiate trovato piacevole ed interessante la lettura di questo mio articolo ed utile la riflessione che con esso spero di avervi suscitato.
Mi raccomando, quindi: cerchiamo di non essere omissivi, assenteisti, negligenti e superficiali.
E non aspettiamoci di sbagliare, altrimenti sbaglieremo di certo. Non solo qualcosa, ma addirittura la stessa cosa in cui siamo soliti sbagliare.
Come sempre, vi invito a farmi sapere se questo scritto vi è piaciuto e a lasciare un commento a quanto avete appena letto, che sia per lasciare un giudizio, per replicare a uno specifico aspetto, per porre una domanda, per chiedere approfondimenti e delucidazioni o anche per condividere vostre esperienze.
E voi? Avete mai commesso più volte lo stesso tipo di errore? Se sì, vi siete mai chiesti il perché di ciò? Che opinione avevate su voi stessi in merito alla possibilità di migliorare e di non ricascare più in questi contorti meccanismi? E nelle relazioni interpersonali, come hanno vissuto le persone che vi vogliono bene le vostre mancanze e le vostre recidive?
Fatemi sapere.
Nel frattempo, non mi resta che darvi appuntamento al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buonasera Jacopo, ho letto con molto interesse il suo articolo,e sono d’accordo con le sue conclusioni, ma penso che continuare a fare gli stessi errori, sapendo di nuocere se stessi oltre a chi ci sta vicino, purtroppo dia una scelta di vita, ….chi vuol cambiare, lo fa senza bisogno di consigli altrui….le dico questo, perché mi sono trovata a dover consolare un’amica che ha un figlio sbandato….non sapevo cosa dirle …vedevo che soffriva molto per il comportamentoscelte del figlio, ….alla fine le ho detto….Cerca di accettarlo così com’è….se fa determinate scelte è perché a quanto pare, lui va bene così….lui sta bene così…e tu devi pensare solo a questo…..Certamente il mio non è stato un consiglio saggio,….ma se non altro non si tortura inutilmente.
Le auguro una buona serata.
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Buonasera Romana!
Che enorme piacere è per me ricevere il suo primo commento!
La ringrazio per avermi espresso il suo interesse e il suo accordo con quanto ho esposto nel mio articolo.
Purtroppo in ciò che dice c’è molto senso, perché mentre da una parte devo sostenere che alcune persone per accorgersi di stare sbagliando e ferendo gli altri hanno bisogno di un aiuto esterno – professionale o meno -, altre sono così cieche alla realtà (o volutamente cieche ad essa dopo averla già scorta da sole) che in effetti può essere molto arduo sperare che cambino per il meglio.
La ringrazio per aver citato una sua esperienza riferita al figlio di una sua amica.
Anch’io ho un caro amico – potrei usare proprio il suo stesso termine – “sbandato”, per significare che ha proprio preso una deviazione permanente dalla VITA stessa e dalla capacità di viverla. In un estremo ed irragionevole masochismo morale, seguita a ricercare il male per propria volontà e, allo stesso tempo, svaluta, ignora, inganna e prende letteralmente in giro chi gli vuole bene e che lui stesso, fintanto che gli faceva comodo, ha fatto entrare nella sua vita assorbendone tutte le energie e l’aiuto possibili per poi buttarlo via come spazzatura e tornare a respirare l’aria malsana e inquinata a cui ormai ha imparato ad assuefarsi come nelle più miasmatiche delle droghe.
E la capisco, perché so che cosa si prova. I veri amici soffrono di riflesso nel vedere le persone a cui tengono trattare male loro stesse prima ancora che gli altri.
La ringrazio davvero per il suo commento, spero di poter rileggere presto altre sue considerazioni in risposta a miei precedenti e futuri articoli.
Le auguro una buona serata e una serena domenica! A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
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Buonasera Jacopo,
Anche questo un articolo bellissimo e interessante.
Può essere che chi persiste a sbagliare probabilmente non abbia ancora impresso dentro di sé gli effetti del suo errore o, semplicemente, non lo ritiene tale. Oppure le priorità che persegue nel suo vivere sono altre rispetto all’investire energie per quel cambiamento. Oppure, ancora, non capisce la necessità del cambiamento stesso perché non ne vede i vantaggi per sé e gli altri. O si ristagna comodamente nella propria area di comfort…
O si arriva ad un livello in cui si pensa di esser giunti a un punto di non ritorno, in cui è impossibile tornare sulla giusta strada. Il ventaglio di possibilità che spingono ad errare è variegato se non infinito.
Sicuramente sono fondamentali la cultura e il contesto che ci sta attorno perché son questi che possono aiutare a creare la motivazione al cambiamento. Una volta acquisita la motivazione e il senso sarà più facile per l’individuo cambiare.
Buona serata
Sjmon
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Buongiorno a te, Sjmon!
Grazie per il tuo apprezzamento, sono davvero contento che ti sia piaciuto e mi ha altrettanto fatto piacere leggere questo tuo commento.
L’ho trovato talmente intelligente che ci tengo a risponderti punto per punto, riportando tra virgolette le parti del tuo commento a cui replicherò.
1) “Può essere che chi persiste a sbagliare probabilmente non abbia ancora impresso dentro di sé gli effetti del suo errore o, semplicemente, non lo ritiene tale.” –> Certamente, ma come dici tu, se il contesto culturale, sociale e – aggiungo – relazionale di un individuo comprende almeno una persona che lo faccia ragionare sulla necessità di cambiare e di migliorare, ad esempio, il modo in cui tratta chi gli vuole bene, allora la questione è di tutt’altra profondità. Gli effetti dei suoi errori ce li ha ben chiari, ma non necessariamente perché qualcuno glieli ha fatti notare, ma soprattutto perché ha ricordato verità di cui egli era già in possesso ma aveva paura di ammettere a se stesso.
2) “Oppure le priorità che persegue nel suo vivere sono altre rispetto all’investire energie per quel cambiamento.” –> Hai detto proprio bene.
Diretta conseguenza di ciò è che le persone, se vogliono cambiare, cambiano.
Se ad esempio un individuo continua a trattare male chi gli vuole bene e con i guanti chi non lo rispetta, il messaggio che sta esprimendo è molto chiaro: “Mi va bene così, mi sta bene essere trattato male e tratto allo stesso modo coloro che tengono veramente a me.”
Una persona che persiste in tale condotta non sa chiaramente dare il giusto valore alle cose e alle persone che gli sono veramente benefiche nella vita, e a tal proposito invito chiunque stia leggendo a riguardare – e soprattutto a commentare – il mio video-articolo “LO PSICOLOGO INTERPELLA – EPISODIO 2 – L’uomo e l’ameba”.
Ci sono persone che vogliono restare per sempre cieche alla luce dell’esistenza, e la parola chiave è “VOGLIONO”.
3) “Oppure, ancora, non capisce la necessità del cambiamento stesso perché non ne vede i vantaggi per sé e gli altri.” –> Per tornare appunto al tema della cecità mentale e sentimentale, ben più grave di quella percettivo-oculare, di cui ti rimando comunque a un altro dei miei articoli che attende un tuo riscontro, ovvero “L’ACROMATOPSIA – UN MONDO SENZA COLORI”.
4) “O si ristagna comodamente nella propria area di comfort…” –> Ebbene sì, alcune persone sanno benissimo che dovrebbero cambiare sia per il proprio bene che per quello altrui (si intende ovviamente per coloro che si sono sempre dimostrati degni di fiducia e di gratitudine), eppure scelgono – sì, è una scelta, e come dici tu molto comoda – di “ristagnare comodamente nella propria area di comfort”. Mostrando così di avere nient’altro che molta paura. Soprattutto, paura di vivere.
5) “O si arriva ad un livello in cui si pensa di esser giunti a un punto di non ritorno, in cui è impossibile tornare sulla giusta strada.” –> Anche qui potrei dire moltissimo, ma potrei anche limitarmi ad affermare che anche in questo caso la parola chiave è “SI PENSA”, o meglio ancora, per prenderti in prestito quell’avverbio, “si pensa COMODAMENTE”. Lo scarso impegno, come scrivevo già all’interno del mio articolo, ci fa ritenere persa in partenza qualsiasi battaglia, anche quella più utile e sana che avremmo già vinto solo per il fatto di averla intrapresa.
Certo, SE la intraprendiamo.
E se non ci rifugiamo immediatamente nelle retrovie non appena ci facciamo cogliere dalla paura – invece che dall’entusiasmo – per esserci accorti che sì, basta volerlo e si riuscirebbe benissimo a cambiare e a non ricadere negli stessi, medesimi, penosi errori.
6) Infine, come tu stesso sostieni, Sjmon, “sicuramente sono fondamentali la cultura e il contesto che ci sta attorno perché son questi che possono aiutare a creare la motivazione al cambiamento.”
Già, hai proprio ragione. Ma se nuovi e più positivi contesti, di cui si è anche già potuto saggiare il valore, non li si vive né li si ascolta, non lasciando loro spazio – a loro ma nemmeno al proprio raziocinio -, e si torna a rintanarsi – o, come dici, a “ristagnare” – in contesti vecchi e obsoleti che ci hanno dato solo ed ampiamente prova di essere malevoli e fallimentari, allora in questo caso è il NOSTRO fallimento ad essere assicurato.
Ti ringrazio ancora per il tuo commento, Sjmon, e spero che questa mia risposta, proprio come l’intero articolo soprastante, possa servire a tutti coloro che sono timorosi di cambiare e risultano recidivi nell’inciampare nei loro “affezionatissimi” errori e nel riproporre le medesime, immancabili mancanze.
Attendo una tua risposta, Sjmon, per proseguire questo utile e fruttuoso confronto.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
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Ciao Jacopo, in alcuni casi l’effetto dei propri errori non è realmente percepito, viene distorto. Quindi non sempre si tratta di paura al cambiamento o paura di vivere.
Mentre rispondevo all’articolo pensavo a quando lavoravo coi ragazzi di comunità. Il problema del cambiamento era la motivazione in sé al cambiamento stesso ma anche la fatica di lavorare su se stessi per cambiare: lasciare le vecchie abitudini per seguire nuove regole, affidarsi a un contesto nuovo, a nuove figure… perché farlo? La fatica vale il risultato?
Tutti con un livello differente di motivazione a cambiare ma per tutti presente. Qualcuno ci è riuscito, qualcuno no o non subito. Questo perché ognuno ha obiettivi diversi, speranze diverse, punti di vista diversi.
I nuovi e più positivi contesti, di cui si è anche già potuto saggiare il valore magari, a volte non li si vive né li si ascolta perché neppure considerati come spazi validi purtroppo. O non percepiti come i propri spazi giusti.
Probabilmente è proprio della natura umana continuare a sbagliare di fronte al ripetersi degli errori. Ne è intrisa la storia, anche quella sociale contemporanea.
Il mio elenco (in risposta all’articolo) di possibilità per cui si replichi l’errore, serviva proprio per dire che fatico a trovare una motivazione comune al fenomeno stesso… ogni situazione è una storia che andrebbe sviscerata per avvicinarsi a conoscerne i motivi e, forse, non si centrerá mai quello vero.
Buona serata
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Ciao Sjmon.
Sì, alcune volte non si ha la reale percezione di quanto si sia in realtà immobili e di come non si abbia apportato nulla di nuovo in direzione di un vero cambiamento, per questo sostengo che a volte sarebbe utile farsi aiutare da amici, parenti e persone che ci vogliono bene, che sappiano aprirci gli occhi e ci forniscano rimandi di come la nostra condotta possa essere eventualmente lesiva anche dei loro sentimenti.
A tal proposito, mi piace ricordare il proverbio “uomo avvisato, mezzo salvato”.
Se a volte senza l’altrui aiuto – che dobbiamo però saper ascoltare – non siamo in grado di accorgerci dei nostri errori, il fatto che ce lo facciano notare costituisce già mezza parte del salvataggio.
Ma l’altra metà dipende solo da noi stessi: se ci intestardiamo sulle nostre rigide convinzioni o ci adagiamo in un apatico senso di rassegnazione travestito da orgogliosa sicumera, siamo i primi ad impedire un auspicabile cambiamento.
Chi ci vuole veramente bene può aiutarci a ricostruire con altruismo e compassione ogni singolo mattone della nostra esistenza, ma, se noi ne abbiamo minato le fondamenta, qualsiasi progetto è destinato a crollare tornando a essere un potenziale inespresso.
Ti ringrazio per aver condiviso con me e con tutti i lettori del mio blog la tua esperienza in comunità con giovani ragazzi.
Sono d’accordo, la motivazione al cambiamento stesso è spesso difficoltosa da raggiungere in tali casi, ma credo che ognuno – appunto con tempistiche diverse -, se sinceramente aiutato e alacremente seguito, si renderà conto prima o poi che è nel suo interesse aprire il cuore a chi a lui tiene veramente, senza maschere e ipocrisie, e la mente e lo sguardo a cosa è capace – e merita – di ottenere dalla vita.
Per quanto concerne la storia, sono totalmente d’accordo.
Essa si ripete ciclicamente, lo dimostra la società in generale, ma è questo il punto secondo me: la società IN GENERALE.
Il cambiamento, infatti, può essere fiutato, smosso, ricercato, perseguito e messo concretamente in atto da ciascuno di noi NELLO SPECIFICO, presi come singoli individui. Partendo da un livello capillare, ognuno di noi può – e dovrebbe – dare il meglio di sé.
Se la storia insegna che a livello globale tendono a ripetersi le medesime, esecranti dinamiche, a livello individuale ciascuno di noi può ergersi al di sopra degli errori della massa e dimostrare – soprattutto a se stesso prima ancora che agli altri – che con volontà, consapevolezza e determinazione può interrompere questo circolo vizioso, distinguersi dalla cornice e dipingere per sé – e per chi gli vuole sinceramente bene – il quadro migliore che si possa contemplare.
Che ne pensi, Sjmon? Ti trovi d’accordo con quanto ho scritto?
In attesa di un tuo sempre gradito riscontro, ti auguro intanto la buonanotte.
Dott. Jacopo Pesenti
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