Buongiorno a tutti, cari lettori.
È giunto il momento di tornare a parlarvi di bullismo, la cui sezione consta già ormai di altri quattro scritti da me precedentemente pubblicati e di cui vi consiglio vivamente la lettura (parte 1: “Il bullismo, parte I – Bullismo o non-bullismo?”; parte 2: “Il bullismo, parte II – Gli attori del bullismo”; parte 3: “Il bullismo, parte III – Si può essere allo stesso tempo sia bulli che vittime?”; parte 4: “Il bullismo, parte IV – Le forme del bullismo”).
L’articolo di oggi – il quinto su tale argomento – sarà incentrato, come vi ho promesso alla fine dello scorso articolo sul bullismo, su una sua particolare tipologia, ovvero costituirà un ulteriore approfondimento della forma più “moderna” con cui tale fenomeno è arrivato a manifestarsi nell’epoca attuale.
Mi riferisco al cosiddetto cyberbullismo.
Come vi ho già esposto nel quarto scritto che ho dedicato al bullismo (“Il bullismo, parte IV – Le forme del bullismo”), questo è anche noto come “bullismo elettronico” o “bullismo online”.
Il termine principale è stato coniato per la prima volta da un educatore canadese, Bill Belsey, nel 2002.
Nel 2006, Peter K. Smith ha poi proposto una definizione di “cyberbullismo” sulla base dei tre criteri già individuati e applicati da Olweus, noto psicologo norvegese, al bullismo canonico. Secondo Smith, esso è “un atto aggressivo e intenzionale, condotto da un individuo” – o da un gruppo di individui – “usando varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel corso del tempo contro una vittima che ha difficoltà a difendersi”.
Questa definizione – chi ha letto il mio primo articolo della sezione “Bullismo” (“Il bullismo, parte I – Bullismo o non-bullismo?”) forse se lo ricorderà – contiene tutte e tre le principali caratteristiche che vi ho illustrato essere i principali requisiti che il bullismo deve possedere per essere definito tale. Queste sono appunto l’intenzionalità del comportamento deviante, la sua persistenza e l’asimmetria di potere nel rapporto bullo-vittima.
Le peculiarità del cyberbullismo, d’altra parte, sono molteplici.
Iniziamo da una sua contestualizzazione.
Ad oggi, ci si avvale sempre più della rete come mezzo di comunicazione, che mi piace definire tanto estensivo quanto insinuativo.
È infatti capace di raggiungere tutti pressoché ovunque, accorciando – anche se non certo geograficamente – le distanze tra mittente e ricevente. Il problema è che è sempre attraverso essa che le persone divengono altresì in grado di penetrare – di “insinuarsi”, appunto – nelle esistenze altrui, carpendone gli aspetti più intimi e privati anche quando questi non sono stati coscientemente esposti o autorizzati.
Ma su questo tornerò a breve.
Vorrei intanto fornirvi alcune statistiche per darvi un’idea dell’ampiezza di questo spinoso problema sociale.
Secondo dati raccolti sul campo mediante colloqui con milioni di studenti in diverse scuole di tutta Italia, è emerso nel 2016 che circa due giovani su tre hanno avuto esperienza diretta o indiretta degli effetti del cyberbullismo.
Questo numero è congruo alla situazione di numerosi altri Paesi, come gli Stati Uniti, essendo il cyberbullismo un fenomeno presente in ogni parte del mondo. Gli studenti americani sono addirittura arrivati ad affermare che il bullismo online è ormai entrato a far parte della loro vita quotidiana.
Secondo un’altra fonte, in un campione di adulti e di genitori residenti in paesi asiatici, il 79% di loro è risultato essere a conoscenza di episodi di cyberbullismo verificatisi o in atto nei confronti dei propri figli o di altri giovani.
Sebbene tenda a diminuire con l’avanzare dell’età, tra le vittime del cyberbullismo si annoverano comunque anche i giovani adulti. Secondo le più recenti stime, il 10-20% di loro dichiara di subirlo regolarmente in almeno una delle sue forme.
Tutti questi dati allarmanti dovrebbero suscitare ancora più preoccupazione, se si considera che questa tendenza è aumentata – e, probabilmente, è destinata ad aumentare ulteriormente – a causa di un improprio utilizzo dei social network.
Secondo l’American Journal of Public Health, la diffusione di pratiche di bullismo digitale sarebbe infatti da addebitare anche ai mezzi di comunicazione sociale online, in particolar modo a Facebook.
Indipendentemente da quale social network ricopra un maggior ruolo causale in queste vicende – ritengo infatti personalmente che qualsiasi di essi possa essere adoperato dai cyberbulli per nuocere alle loro vittime, quindi anche Twitter, MySpace, Instagram e numerosi altri –, bisognerebbe focalizzare l’attenzione specialmente sull’identità e sulla personalità di coloro che abusano di tali mezzi, oltre che sugli espedienti stessi, se la volontà è quella di contrastarli.
E questa volontà dovrebbe divenire al più presto una priorità, se si pensa che nel solo 2016 i casi di cyberbullismo in Italia sono aumentati di un significativo 8%. In aggiunta a ciò, almeno un adolescente su quattro dichiara di aver praticato – e per la prima volta in un’età anche molto precoce, intorno agli undici-dodici anni – il fenomeno del sexting, che consiste nella condivisione e diffusione di immagini o video a contenuto sessuale attraverso i più disparati canali multimediali.
Oltre che inviare messaggi, foto o video offensivi, altre condotte praticate dal cyberbullo sono la diffusione di false informazioni su un’altra persona, l’esclusione volontaria di quest’ultima da gruppi nati o costruiti online, l’intimidazione, il furto dell’altrui identità digitale e l’utilizzo inappropriato di materiale pornografico, tra cui l’esplicita richiesta di prestazioni sessuali.
Nonostante i numerosi studi condotti al riguardo, il cyberbullismo continua tuttavia ad alimentare più i dibattiti giornalistici e di cronaca che non quelli afferenti al settore scientifico. Per questo occorrerebbe raccogliere dati servendosi soprattutto di strumenti quali inchieste sociali e questionari psicologici, in modo da ottenere un quadro descrittivo più preciso sulla base del quale promuovere interventi più strutturati e consapevoli.
Per tornare alle caratteristiche psicologiche del cyberbullismo, vi dicevo già all’inizio dell’articolo come, grazie alla sua dimensione tecnologica, esso sia profondamente insinuativo.
La vittima perde ogni senso di sicurezza, dato che nemmeno nell’ambiente intimo e privato della propria casa, o della propria camera da letto, si può sentire al riparo da minacce esterne. A causa della fitta rete di connessioni instaurata dai vari dispositivi tecnologici, essa è facilmente raggiungibile – o meglio, attaccabile – in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento.
Ciò favorisce il terrore anticipatorio di trovare nuovo materiale scomodo od oltraggioso su di sé ogniqualvolta consulta il cellulare o accede ai social network. La diretta conseguenza è un clima costante di ansia ed angoscia, per non parlare delle ricadute sull’autostima, sulla capacità di concentrazione e sul tono dell’umore.
Veder minata la propria reputazione, oltretutto, provoca un senso di vergogna così devastante che alcuni dati recenti indicano essere predittivo in un caso su dieci della messa in atto di tentativi di suicidio.
Inoltre, il fatto di possedere un dispositivo mobile – soprattutto se evoluto quanto uno smartphone – sottopone l’individuo a un rischio maggiore tanto di cadere vittima delle attenzioni di un cyberbullo quanto di servirsi lui stesso – per differenti motivi a seconda della persona – di chat, e-mail e servizi di messaggistica istantanea per danneggiare l’altrui nomea.
Questo risvolto ricopre una certa importanza alla luce del fatto che, secondo le stime del National Children’s Home (NHC), il 73% delle vittime di cyberbullismo conosce o scopre di conoscere il suo persecutore.
Tre quarti dei giovani che sperimentano tale violenza psicologica sono per di più poli-vittimizzati, vivono cioè una sofferenza derivante da molteplici tipologie di soprusi aggiuntivi, quali abusi fisici o sessuali, maltrattamenti domestici oppure il bullismo più “convenzionale” e diretto.
Il fenomeno è ulteriormente amplificato se, come spesso avviene, ad essere coinvolti sono anche i cosiddetti “spettatori passivi” – persone che assistono indifferenti a tali episodi online – o i “sostenitori” del cyberbullo, i quali diffondono a loro volta su larga scala le immagini e i filmati loro trasmessi, essendo la rete e i contenuti che essa ingloba tipicamente virali.
Rispetto alle forme più conosciute di bullismo, infine, il cyberbullismo presenta un’altra complicazione. A causa del contesto più indiretto e asettico della rete, il rapporto che si crea tra cyberbullo e vittima è pressoché totalmente virtuale. La lontananza emotiva tra le persone implicate – sotto la garanzia di un presunto anonimato – rende quindi ancora più difficile per il carnefice provare quel costruttivo senso di colpa che lo spingerebbe a riparare al danno compiuto, dato che non può constatare in prima persona – senza l’intermediazione dello schermo – le reazioni di dolore dei suoi bersagli umani né le ripercussioni che il suo comportamento ha sul loro benessere psichico.
Cari lettori, quali sono le vostre considerazioni dopo quanto avete appena letto? Quanto conoscevate di questa ostica e disturbante forma di bullismo? E che rapporto avete con Internet, l’immensa rete in cui pressoché tutti noi ci troviamo racchiusi e, a volte, incastrati come incauti pesci in un mare assediato da spietati pescatori?
Come sempre, potete far sapere – a me e a tutti coloro che seguono il mio blog – che cosa ne pensate, lasciando un commento in fondo all’articolo, dandomi un vostro riscontro e condividendo il mio contributo sui vostri social network.
Non mi resta quindi che darvi appuntamento alla prossima.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Vedremo tra un po’ di anni se il cyberbullismo ha raggiunto livelli così allarmanti solo per il fatto che una generazione nuova si è trovata di fronte a strumenti più grandi di lei mentre la generazione adulta che dovrebbe garantire un controllo non sa spesso neppure da che parte voltarsi con la tecnologia. Oppure se il dramma è dovuto a una nuova generazione incapace di empatia, rispetto, sintonia con l’altro che ne esce vittima. In entrambi i casi c’è una falla “nei” e “dei” principi educativi e non saranno pochi provvedimenti e regolamentazioni in campo a far crescere ragazzi migliori
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Buonasera Sjmon!
Che piacere trovare questo tuo commento, che ho trovato tra l’altro molto pertinente ed appropriato.
Io credo che, a seconda della persona, possa rivelarsi vera almeno una delle due eventualità che hai avanzato.
C’è chi, pur non peccando a priori di empatia e solidarietà verso gli altri, può essere facilmente traviato dalle mille potenzialità dei vari strumenti tecnologici, se privo di una guida che anche negli anni precedenti non gli abbia trasmesso una corretta capacità di discernimento.
Allo stesso tempo, alcuni giovani, proprio perché educati senza tener conto del rispetto, come tu dici, e di molti valori imprescindibili per la valorizzazione di se stessi e per la considerazione degli altrui sentimenti, sono ancor più probabilmente “condannati” a cadere in questo tipo di dinamica, che fa dei soprusi e dell’umiliazione dei propri pari la via principe – e per loro l’unica via – per sentirsi superiori e accettati dal mondo che loro stessi spesso disprezzano.
Grazie mille per il tuo commento, Sjmon.
Spero che la lettura di questo articolo sia stata per te piacevole e fonte di interesse.
Mi auguro di risentirti prestissimo!
Dott. Jacopo Pesenti
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Buonasera Jacopo, mi spiace sapere quanti giovani, e non, sono caduti nell’insidiosa rete di internet. Certo, questa rete è una cosa molto bella per chi ne fa un buon uso, visto che ci permette di vederci con persone care anche se ci troviamo agli antipodi gli uni dagli altri, ci permette di contattare vecchie amicizie che si credeva fossero perdute per sempre, oppure si possono incontrare nuovi amici, si possono cercare notizie e risposte a domande che una volta dovevi ricercare sui libri, scoprire i significati di parole difficili, senza dover consultare i vecchi (ma validi) vocabolari. Il tutto stando comodamente seduti, con il solo sforzo di digitare sulla tastiera di un PC e premendo poi il tasto invio. Tutto facile, tutto a portata di mano e tutto molto pericoloso, se fatto da persone infide.
Sì, per me le persone che usano la rete per i propri sporchi propositi sono da ritenersi abbiette, vigliacche, subdole e senza etica (per non dire qualcos’altro).
La tecnologia è così avanzata, che a me molte volte fa paura. Ciò nonostante penso alle grandi menti umane che hanno permesso di fare questi passi da gigante e provo meraviglia nel pensare quanto grandi possano essere le nostre capacità intellettive. Provo anche un senso di ribrezzo molto forte nel vedere come queste stupefacenti tecnologie vengano spesso usate per nuocere agli altri esseri umani.
Uomini, donne, adolescenti, bambini sono presi di mira da questa razza ripugnante di cyberbulli, che rovinano le loro esistenze, spargendo i semi dell’infamia, del disprezzo, della paura, dell’insicurezza e godendo del dolore, della frustrazione e dell’impotenza altrui provocati con le loro VIGLIACCHE azioni. Mi domando cosa provino a torturare così le persone e cos’hanno al posto del cuore. Saranno anche delle menti con QI alto, ma miseri esseri rimangono.
Sono d’accordo che bisognerebbe focalizzare l’attenzione su chi non fa un uso lecito di tali mezzi, ma ritengo che oltre che le preposte autorità dovrebbero entrare in gioco in prima persona gli educatori (famiglia e scuola) dei ragazzi a cui vengono donati questi strumenti, sì preziosi sotto molti punti di vista, ma altresì pericolosi, come armi a doppio taglio. Ritengo inoltre che per mania di grandezza e vanità molte cose (foto, nomi, indirizzi ecc.) vengono postate sui social con troppa facilità, lanciando l’esca a chi si diverte un mondo a pescare in rete, usando modi illeciti e criminali.
Saluti da Patrizia.
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