Buongiorno a tutti voi, cari lettori.
Il 2018 è arrivato. Come avete iniziato il nuovo anno?
Avete già partorito nuovi propositi? E gli obiettivi che vi eravate posti da molto tempo? Siete vicini al loro conseguimento, oppure anche con l’inizio dell’anno state procrastinando il momento in cui adoperarvi per tentare di raggiungerli?
In tale eventualità, vi consiglio la lettura del mio precedente articolo (“Perché fare oggi quello che si può fare domani?”), che affronta appositamente tale tematica.
Ritornando invece alla sezione dedicata al bullismo, nello scorso articolo che ho redatto al riguardo (“Il bullismo, parte I – Bullismo o non bullismo?”) ho discusso di cosa risponde a tale definizione e di cosa invece se ne discosta configurandosi come una più generica aggressività verso gli altri, la quale – seppur ovviamente nociva per le relazioni interpersonali – non può essere assimilata ad un vero e proprio atto di bullismo.
In questo scritto, ho ritenuto fondamentale proseguire l’argomento individuando le persone solitamente coinvolte nelle situazioni di bullismo, tratteggiandone le caratteristiche distintive e identificando anche quelle figure che il più delle volte non vengono nemmeno prese in considerazione.
Per usare una metafora e al contempo rendervi più chiara la mia visione di questo fenomeno sociale, vorrei paragonare il bullismo ad una rappresentazione teatrale. Forse avete già intuito il perché di questo mio raffronto, ma con il prosieguo della lettura vi sarà ancora più facile cogliere le analogie che secondo me sussistono tra questi due eventi, apparentemente così diversi.
Gli unici attori ad essere perlopiù contemplati sono due: il bullo e la vittima.
Analizziamoli subito.
Il bullo, come è noto, è l’individuo che – specialmente nel contesto scolastico – sceglie di accanirsi prepotentemente con continue prevaricazioni su uno o più coetanei percepiti come più deboli.
I termini “sceglie”, “accanirsi” e “più deboli” non sono casuali: come ho già scritto nello scorso articolo della sezione “Bullismo” (“Il bullismo, parte I – Bullismo o non bullismo?”), per poter essere definita “bullo” la persona in questione deve possedere tre caratteristiche, cioè l’intenzionalità – la premeditazione nell’arrecare un danno ad altri –, la persistenza – la regolare frequenza con cui sottopone i suoi pari alle proprie angherie – e l’asimmetria di potere, secondo cui difficilmente designerà come bersaglio i compagni che reputa in grado di difendersi e di reagire ai suoi soprusi.
Come è contraddistinto da un alto livello di impulsività, così il bullo presenta una scarsa capacità di problem solving – ovvero l’attitudine a risolvere i problemi che gli si presentano valutando molteplici alternative e optando per quella più efficace per se stesso tale però da non danneggiare chi lo circonda.
Un tempo il quadro di personalità del bullo, offerto anche dalle precedenti teorie psicologiche, era piuttosto diverso. Si riteneva infatti che il bullo scegliesse di molestare altre persone come metodo di compensazione per la propria bassa autostima, occultata dietro una convincente maschera di sicurezza e arroganza.
In realtà, è emerso sempre più chiaramente come egli sia caratterizzato, sì, da una scarsa tolleranza alle frustrazioni – per cui il mancato subitaneo raggiungimento di una gratificazione in vista di obiettivi più stabili e a lungo termine lo porta ad agire istintivamente –, ma anche da un alto grado di competenze sociali. È questo il tratto che permette al bullo di cogliere gli stati emotivi altrui, requisito indispensabile per pianificare efficacemente le modalità con cui colpire i suoi bersagli sulla base delle loro debolezze e fragilità.
Giungiamo quindi al secondo attore della scena teatrale, la controparte del bullo: la vittima.
La vittima di bullismo è, naturalmente, l’individuo che subisce le vessazioni messe in atto dal bullo nei suoi confronti. Egli può anche cercare di reagire, ma ogni suo tentativo di ribellarsi o di sottrarsi allo scontro si rivela pressoché vano. Fintanto che questa dinamica si protrae, egli rimarrà una vittima e il bullismo perdurerà.
La vittima è solitamente una persona vulnerabile, attaccata dai coetanei perché percepita come dissonante dalla realtà sociale del gruppo di appartenenza e da cui, pertanto, si farà di tutto per estraniarla. Questo può accadere semplicemente perché i suoi interessi o i suoi gusti nel modo di vestire non corrispondono a quelli della maggioranza della classe, oppure perché non è disposta a conformarsi ad attività e valori che non ritiene consoni a sé solo per uniformarsi alle regole stabilite dai compagni.
Si possono distinguere due diverse tipologie di vittima: quella passiva e quella provocatrice.
La più nota, la vittima passiva, viene presa di mira dai bulli a causa della sua palese vulnerabilità alle offese e alle aggressioni. Il bullo che agisce su questo tipo di vittime si sente già sicuro di non riscontrare resistenza da parte loro.
Il termine vittima provocatrice, invece, si riferisce a quelle persone che – più o meno intenzionalmente – adottano comportamenti sottilmente o anche manifestamente istigatori, che come involontaria conseguenza possono condurre ad aizzare il bullo contro di loro.
Entrambi i tipi di vittima sono accomunati da uno scarso livello di competenza socio-relazionale, che li porta o a rinchiudersi in se stessi – il ritiro sociale che non fa altro che accrescere il loro senso di impotenza (vittime passive) – o attirando in modo sconsiderato l’attenzione dei bulli, senza ben riflettere sulle possibili ripercussioni della loro condotta (vittime provocatrici).
La loro bassa autostima e il vissuto di inadeguatezza ulteriormente accentuati dalle oppressioni subìte impediscono spesso alle vittime di bullismo di ricercare l’aiuto dei loro coetanei o degli insegnanti, rassegnandosi al ciclo di ansia, frustrazione e violenza.
Esiste inoltre un ruolo intermedio tra quello del bullo e quello della vittima: si chiama, appunto, bullo-vittima (ma per ulteriori informazioni su questa figura vi rimando al successivo articolo della sezione, “Il bullismo, parte III – Si può essere allo stesso tempo sia bulli che vittime?“).
Ora che ho esposto le caratteristiche principali del bullo e della vittima, intendo però mostrare come essi non siano gli unici attori a calcare il palcoscenico del bullismo – sebbene ne siano certamente i massimi protagonisti.
Sono infatti convinto che, come in tutte le storie – che siano narrate da un libro, da un film o, per l’appunto, da uno spettacolo teatrale –, i personaggi primari perderebbero molto della loro salienza e del loro spessore se non fossero coadiuvati – od ostacolati – dai cosiddetti personaggi secondari.
Tra questi ultimi, solidali alla vittima di bullismo, si annovera il cosiddetto difensore della vittima. Costui può essere – anche se non necessariamente – un compagno di classe o di scuola che decide volontariamente di esporsi in prima persona per soccorrere la vittima durante o in vista di ulteriori episodi di bullismo.
Il “coraggio” che tale presa in carico richiede spiegherebbe perché i difensori delle vittime di bullismo siano solitamente dotati di elevate prosocialità ed empatia.
Questo è però un personaggio che, purtroppo, non è sempre presente all’interno della scena teatrale, e che invece, se “scritturato”, potrebbe fornire un importante contributo all’arresto – o, perlomeno, alla riduzione – dei fenomeni di bullismo, concedendo alla vicenda il lieto fine che merita.
Tra i personaggi secondari vicini all’antagonista, invece, ci sono senz’altro le figure dell’assistente e del sostenitore.
L’assistente è quella persona che aiuta concretamente il bullo nelle sue azioni persecutrici. Il suo supporto è dunque di natura prettamente pratica: può seguire il bullo ovunque egli vada e lo assiste nel bloccare la vittima designata o anche nello spingerla ed aggredirla fisicamente.
Il sostenitore svolge una funzione molto simile. La differenza è che il suo appoggio ha una dimensione più psicologica: ad esempio, incita il bullo con trasporto e veemenza, assicurandogli la sua esplicita approvazione per le sue azioni e favorendone così la probabile reiterazione.
La validazione e il riconoscimento che il bullo ne ricava, sia che provengano da un assistente, da un sostenitore o da entrambi, costituisce sicuramente per lui un notevole rinforzo.
Allo stesso modo, sebbene in maniera più implicita e subdola, anche le “comparse” rivestono un ruolo fondamentale nella trama del bullismo. Ho infatti fin da sempre creduto che molte delle nostre azioni – specialmente per chi molto dipende dall’altrui giudizio e teme di pagare con l’esclusione sociale il proprio sano distacco e critico anticonformismo – sarebbero guidate molto di più dal buonsenso, se non ci facessimo in varia misura influenzare dalla moltitudine di sguardi che ci attornia.
Per informazioni più approfondite circa il peso che gli osservatori passivi – o, come a me piace chiamarli, gli spettatori – hanno nel mantenere ben oliati gli ingranaggi del bullismo, vi suggerisco caldamente la lettura di un altro mio articolo, che pubblicherò in futuro.
Concludo con un ultimo sviluppo della mia metafora sul bullismo come rappresentazione teatrale: se la platea degli spettatori non fosse sempre così gremita e gli attori itineranti che mettono in scena il copione non avessero di conseguenza così tanto seguito, sul palcoscenico di ogni paese e città che ha conosciuto la morsa del bullismo calerebbe presto il sipario.
Sito web di psicologia (consulenze, video-sedute e contatti):
Psicologo Treviglio – Dott. Jacopo Pesenti – Studio di Psicologia
Spero che abbiate trovato piacevole la lettura di questo mio articolo ed interessante lo spunto di riflessione che con esso spero di avervi suscitato sulla spinosa tematica del bullismo.
Come sempre, vi invito a lasciare un commento a quanto avete appena letto, che sia per replicare a uno specifico aspetto, per porre una domanda o per chiedere approfondimenti e delucidazioni.
Non mi resta quindi che darvi appuntamento, se lo vorrete, al mio prossimo articolo.
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
Buonasera Dott. Pesenti, innanzitutto volevo esprimere una considerazione generale.
Trovo utile ed interessante che lei fornisca, tramite nuovi articoli, approfondimenti di temi già precedentemente trattati. Credo infatti che questo possa costituire una sorta di arricchimento culturale per quei lettori che da alcuni argomenti si sentono maggiormente coinvolti, rispetto ad altri, per via delle esperienze passate o semplicemente per quello che stanno vivendo. Richiamare ed approfondire tematiche già trattate potrebbe sostanzialmente rappresentare per questa tipologia di lettori una specie di ‘vademecum ‘, non so se ho reso l’idea.
Per quanto riguarda invece l’articolo specifico appena pubblicato sono rimasta sorpresa dalla descrizione della figura della vittima, in particolare quando lei parla di ‘scarsa competenza socio relazionale’ e ‘bassa autostima e vissuto di inadeguatezza’. Ho sempre visto nella vittima la figura debole, timida magari introversa, ma anche la persona a volte ‘diversa’ dagli altri proprio perchè di un’intelligenza o cultura superiore e pertanto dotata di competenze socio relazionali. Competenze che chiaramente non trovano poi riscontro nella relazione con i coetanei proprio per la diversità di interessi (faccio un esempio mi viene in mente il ragazzino volenteroso, studioso che a scuola ha il massimo dei voti, ma che dedica anche parte del suo tempo a coltivare interessi che non sono per esempio necessariamente giocare a calcio) . Ora la difficoltà relazionale è da imputare alla vittima o agli altri? E’ giusto che la vittima accantoni i propri interessi e si sforzi in ogni modo di cambiare per essere accettato dagli altri o è più corretto che continui convinto per la sua strada?
Qui mi sorge pertanto il dubbio e non capisco cosa si intenda esattamente per scarsa competenza socio relazionale e bassa autostima in capo alla vittima? Le sarei grata se potesse aiutarmi a capire. Grazie. Un caro saluto.
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Grazie mille, Maria Grazia!
E’ davvero gratificante per me sapere che apprezza molto la struttura che ho conferito al mio blog professionale. Alcuni argomenti – non solo il bullismo a scuola, come in futuro avrà modo di vedere – troveranno spazio in più articoli, avendo così io modo di approfondire al meglio tematiche che mi stanno molto a cuore, che reputo fondamentali o che ritengo siano conosciute poco o male – oppure, tutte e tre le cose.
Il bullismo è appunto una di queste.
Grazie anche per aver paragonato i miei articoli a una sorta di “vademecum”: mi piace molto che abbia avuto la sensazione di quasi un manuale di sopravvivenza da tenersi accanto. L’ho molto apprezzato!
Mi fa inoltre enormemente piacere che abbia voluto pormi alcune domande dopo aver letto questo mio articolo.
Tenterò di risponderle nel modo più chiaro ed esaustivo possibile.
Innanzitutto, come avrà letto, esistono diverse tipologie di vittime di bullismo, non una sola, ma in effetti è molto frequente che chi lo diventa è caratterizzato da una scarsa autostima –
indipendentemente dal suo grado di salienza, potendosi infatti essa manifestare sia con condotte di isolamento, sia con atteggiamenti istigatori, nel tentativo di percepirsi più attivi e capaci di influire sugli altri.
Tale vulnerabilità viene colta dal bullo (per competenza socio-relazionale, nel suo caso, si intende infatti la capacità di cogliere i segnali di disagio nell’altro e al contempo di trascinare sulla propria scia le poco critiche volontà di alcuni suoi compagni).
Ci tengo però a precisare, nella maniera più assoluta, che il fenomeno del bullismo non è mai colpa della vittima.
Mi piace dire che ognuno ha la sua “testa”, la sua personalità e la sua maggiore o minore predisposizione ad ascoltarsi prima di prendere una decisione. Pertanto la scelta consapevole del bullo di nuocere agli altri non può ovviamente essere fatta ricadere sulle sue vittime (il che non è scontato, in effetti: non ha idea di quante volte nella mia vita – professionale così come in quella privata – ho sentito e sento alcune persone, dirsi convinte che in un certo senso le vittime si meritano quello che sono costrette a subìre – un aspetto che si trasla a molteplici altri ambiti, come ad esempio alle donne vittime di stupro o di violenza domestica).
A volte, anzi, sono le stesse vittime – di bullismo, e non solo – a percepirsi responsabili per i soprusi sopportati.
Chiarisco inoltre un altro punto: sono in realtà senz’altro d’accordo con lei, la maggior parte delle volte le vittime di bullismo sono giovani abili a scuola (anche se non è detto), molto intelligenti, motivati, che si dedicano a molteplici interessi (sapesse quanto io stesso abbia sempre scarsamente valutato sport come il calcio!) e disponibili nelle relazioni con gli altri. In questo senso loro sono molto abili dal punto di vista socio-relazionale.
Quando di questo aspetto essi peccano, si intende in realtà – e sono felice che mi abbia portato ad approfondirlo – che possono non essere ben capaci di far valere alcune altre capacità sociali, quali quelle di negoziazione, che se anche non sempre possono dissuadere il bullo dal tormentarli, permetterebbero loro di non “cedere” di fronte alla sofferenza che provano, mostrando così al bullo stesso che dispongono di mezzi per resistergli e per continuare a vivere degnamente le loro vite.
Quanto più i bulli scoprono di avere potere su di noi, tanto più infatti si sentiranno giustificati – e a volte inebriati – a protrarre le proprie angherie.
In terzo luogo, è sempre una questione, secondo me, di “diversità percepita”: i ragazzi colti, posati ed educati vengono facilmente presi di mira, ma questo specialmente in una classe composta da giovani che fanno della moda, dell’oppositività e del puro svago fino a se stesso il loro stile di vita.
In una classe di “sapientoni”, invece, l’adolescente che più può trovarsi in difficoltà nel conseguire buoni voti – fosse anche in una sola materia – sarebbe lui il bersaglio ideale dei potenziali bulli, perché verrebbe considerato come deficitario di qualcosa o, appunto, come colui che più si discosta dal gruppo dei coetanei, che tende a riunirsi e a definire lo standard normativo da seguire.
Lo stesso principio vale quindi per lo stile dell’abbigliamento, per il modo di pensare, per il proprio orientamento sessuale, per il proprio credo religioso o politico o per il proprio status sociale, qualunque esso sia, purché percepito come dissonante dalla maggioranza.
Infine, affermo con fermezza e convinzione che secondo me i ragazzi e le ragazze colpiti dal bullismo non devono assolutamente deviare dalla propria strada, non se sono convinti di quello che sono e tantomeno se esclusivamente per andare incontro agli altri.
Se gli altri vogliono ferirci, infatti, troveranno sempre qualcosa in noi di cui lamentarsi, da usare per farci del male. La nostra immagine, se costruita con consapevolezza ed impegno, rispecchia ciò che siamo davvero, e non dovrebbe essere mai mutata solo nella speranza che così, accontentando chi ci circonda, questi ci lascino in pace. Avremmo inoltre dato loro un’altra soddisfazione che non meritano affatto, quella di averci plasmati in qualche modo.
L’unica strada meritevole di essere percorsa credo sia quella che ci porta a migliorare alcune nostre sfaccettature, specie quando queste in qualche modo ci limitano dal reagire con assertività e spontaneità alle offese e ai maltrattamenti altrui.
L’appello che mi permetto di fare è infatti il seguente: “Non dobbiamo mai permettere agli altri di farci apparire indegni ai nostri occhi, ma nemmeno ai propri occhi di impedirci di essere chi aspiriamo a diventare.”
Sempre in virtù di una crescita personale e di un maggior benessere – anche e soprattutto con se stessi.
Sono consapevole di aver praticamente scritto con questo commento un altro articolo – e per questo le chiedo di perdonarmi -, ma ci tenevo ad essere il più possibile dettagliato ed esaustivo nel rispondere alle sue ottime domande.
Mi faccia sapere se sono stato in grado di chiarire i suoi dubbi.
Sulla base di quello che mi ha domandato qui, sono sicuro che nei prossimi articoli che scriverò nella sezione “Bullismo” troverà ulteriori risposte e spunti di interesse – così almeno mi auguro.
Nel frattempo, Maria Grazia, le auguro una buona serata e un buon fine-settimana!
A presto!
Dott. Jacopo Pesenti
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Buongiorno Dott. Pesenti, è sempre un piacere leggerla.
La ringrazio per i chiarimenti forniti che oltre ad essere stati molto esaustivi non si sono limitati ad un semplice approfondimento ‘teorico’ ma si sono contraddistinti dall’importante contenuto ‘motivazionale’ tipico dei suo articoli; è proprio per questo che sono convinta che oltre ad aver risposto ai miei dubbi, indirettamente le sue ‘parole’ potranno essere di aiuto a quelle persone che purtroppo sono e /o sono state vittime di questo fenomeno.
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Buongiorno Jacopo, oggi dopo aver letto l’articolo, non posso non chiedermi se in qualche modo l’insegnamento dato da noi genitori o in generale da noi famigliari, possa essere in qualche modo fautore di cause ed effetti sul comportamento sia della vittima che del carnefice.
E’ forse sbagliato insegnare ai propri figli un’educazione che implichi non dire parolacce, non insultare le persone, non bestemmiare, portare rispetto. O anche non sentirsi inferiori ai compagni e amici, se non porti vestiti o scarpe firmati o non hai il cellulare di ultima generazione o hai un credo, una fede differenti? Così facendo siamo noi stessi a creare le vittime e i loro persecutori, a creare il fenomeno del BULLISMO?
Viviamo in una società consumistica, che ci bombarda sempre e ovunque di messaggi su cosa e come fare per essere belli, affascinanti, seducenti, simpatici, abili nel lavoro, che ci induce a credere che se non fai questo o quello, non puoi far parte di una certa élite, di un determinato gruppo, che puoi decidere di “essere” o diventare “invisibile”, e allora mi domando: può essere la stessa società a creare questo spregevole fenomeno?
Da che esiste l’uomo, la storia ci insegna, purtroppo, che di fatto il bullo, il cattivo, il vigliacco sono figure che persistono e aimè, continueranno a persistere. Vuoi per un’educazione sbagliata, dei presunti o veri torti subiti, delle angherie ricevute. Le cause possono essere molteplici, ma tutte lasciano un segno indelebile nell’animo di noi esseri umani!
Io disprezzo molto, i sostenitori ed i rinforzi che supportano il bullo, ma mi fa più rabbia il fatto che molti quando si trovano di fronte a casi di bullismo si girino dall’altra parte, che non intervengano, che nascondino la testa sotto la sabbia, come se così facendo si dissocino da quanto sta avvenendo sotto i loro occhi, come se così si sentissero tranquilli con la loro coscienza. IO NON VEDO, NON SENTO, NON PARLO! Così facendo non solo non portano aiuto al malcapitato, ma rendono ancora più forti il bullo ed i suoi complici, conferendo loro più forza e facendo di se stessi il pubblico desiderato da questi malevoli individui.
Alla luce di queste mie riflessioni, può essere che il bullo sia la vittima-carnefice di se stesso? Può essere che, se aiutato a comprendere le sue paure, le sue insicurezze, possa dissentire dal suo stesso essere bullo?
Di rimando la vittima, il personaggio che è costretto, suo malgrado, a subire tutti i soprusi, le angherie, gli insulti , gli sputi e chi più ne ha più ne metta, possa con l’aiuto di qualche anima gentile, coraggiosa ed altruista, o di una o più persone competenti, a prendere coscienza della forza che ha in se?
Dal mio punto di vista, credo che se si riuscisse a dialogare, scambiare le proprie opinioni, i propri pensieri, le proprie insicurezze, si potrebbe ricavare un forte beneficio per tutti, sia per i bulli ed i loro accoliti, sia per le vittime ed i loro sostenitori. Penso che la cosa sia difficile, ma non impossibile. Comunque questo è ciò che auspico possa succedere. (non si sa mai che il mondo possa diventare migliore di quel che è!)
Un saluto a tutti. Patrizia
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Buonasera Jacopo, ho letto il commento in risposta alla Sig.ra Maria Grazia e ho percepito un riscontro, seppur indiretto, anche alle mie domande. Sono d’accordo sul fatto che siamo gli artefici di noi stessi e che nessuno ha il diritto di imporci di essere o di diventare qualcun altro, soprattutto se il nostro “essere” è positivo. Non si può peccare di presunzione se si decide di essere al di fuori dagli schemi che ci impongono, solo per non essere vittime di individui che vogliono prevalere sulle nostre convinzioni con la forza e la violenza. Dobbiamo tenere sempre presente i nostri obbiettivi senza trascurare il fatto di una convivenza pacifica, un vivere in simbiosi con le persone e l’ambiente sociale in cui siamo, ma non dobbiamo mai dimenticare che è molto importante in primo luogo l’accettazione di noi stessi per come siamo e per come pensiamo.
Penso che ognuno possa trovare il modo più adatto per poter combattere questo male sociale che affligge molti di noi, mantenendo però la propria autostima, senza diventare esso stesso un bullo. Certo è, che la cosa non è facile per chi deve vivere continuamente sotto questo pesante fardello. D’altra parte non ci si deve arrendere e dare così gioco facile a chi del bullismo ha fatto il proprio credo.
Penso che bulli non ci si nasce, ma si diventa, o almeno mi piace pensare che sia così, perché se fosse vero il contrario le speranze di poter comunicare con questi individui sarebbero molto labili e la cosa non mi piace affatto.
Spero che questo mio scritto possa far pensare in qualcosa di positivo e, detto questo mando i miei saluti a tutti i lettori, augurando una buona serata. Ciao da Patrizia.
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Buonasera Patrizia!
Mi fa piacere che nella risposta che ho dato alla precedente lettrice tu abbia trovato le risposte che cercavi.
Colgo comunque l’occasione per ribadire che insegnare ai propri figli i giusti valori in cui crediamo, specialmente quelli dell’onestà, della tolleranza e del rispetto, è assolutamente una cosa giusta e degna di lode. Nessun genitore – quindi nemmeno tu – dovrebbe mai dubitare di rendere più facilmente i propri figli delle vittime con questi insegnamenti, perché non è un passaggio necessario né automatico. Sono al massimo i bulli, percependo tali persone come “diverse” dai canoni più in voga nel loro gruppo di appartenenza, a percepirli come dissonanti e a convincersi a bersagliarli. A volte queste persone, come dire, “più mature” possono diventare vittime di bullismo, altre volte possiedono invece anche la forza necessaria per reagire e dissuadere i bulli dal protrarre i loro soprusi, evitando così di farsi ingabbiare nella spirale del bullismo.
E ti confermo che la tua opinione collima totalmente con la mia: “non si nasce bulli, ma si diventa”, e per molteplici, possibili – e affatto scontate – ragioni.
Comprendere a fondo la loro storia di vita e cosa dal profondo li spinge ad agire in questo modo è la chiave per aiutarli a cambiare e a migliorarsi.
Sotto questa prospettiva, infatti, io credo che spesso anche i bulli siano delle vittime – vittime di se stessi e dell’ambiente che li circonda e/o in cui sono vissuti -, incastratesi – da sole o sotto cattive influenze esterne – nelle fitte maglie di questo opprimente fenomeno sociale.
Infine, ti anticipo che un mio futuro articolo della sezione “Bullismo” sarà proprio dedicato alla figura dello “spettatore”, ovvero di colui che, comportandosi da osservatore passivo, non fa altro che rafforzare la sensazione del bullo di avere un pubblico affezionato che approva e non contrasta le sue condotte prevaricatrici. Spero che troverai anch’esso di tuo interesse.
Alla prossima, Patrizia, un saluto a te e a tutti gli altri miei lettori!
Dott. Jacopo Pesenti
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Trovo interessante questa lettura e penso che l’autostima sia il motore di vita di tutti di noi
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Grazie mille per il suo apprezzamento, Gianluca!
Certamente, io penso che senza autostima non si possa trovare la vera scintilla di individualità che c’è in noi, e spesso è solo grazie a quella che possiamo prendere in mano le nostre esistenze e modificarle per il meglio – facendo il bene soprattutto nostro, ma anche di chi ci circonda.
A presto, le auguro una buona domenica!
Dott. Jacopo Pesenti
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